L’astronave degli esposti

Aveva dimenticato i guanti, ancora. Forse gli sarebbe convenuto mettere un avviso sul cellulare, per ricordarselo. Camminava veloce con le mani in tasca, ma il marciapiedi era stretto da un’impalcatura, che sorreggeva una larga crepa nel muro del palazzo di fianco.

Tocca deviare, passare sulla strada, proprio vicino ai cassonetti maleodoranti. Non c’era verso, caldo o freddo, quei ricettacoli di germi, quelle astronavi debordanti immondizia, annunciavano la loro presenza con olezzi immondi, portati dall’aria. Passano le macchine in fila, stringono, e la vicinanza ai bidoni si fa pericolosa. Mentre cerca di trovare un suo spazio, un equilibrio, sente un miagolio, proprio dietro. Sembra, dietro.

Si volta e tutto tace per un attimo, poi ricomincia, più forte, e viene da dentro l’astronave, proprio là dentro. Sta per andarsene, vedendo arrivare un camion per la raccolta. Fa qualche passo, poi torna indietro. Avranno buttato una cucciolata? Mostri. Non ce la fa, deve controllare.

Buste chiuse, aperte, puzza di urina e marciume. Là, là sotto c’è una busta che si muove, saranno là. E affonda le mani nell’immondizia, non ci arriva, si appoggia al cassonetto e si sporge all’interno, il giaccone macchiato da chissà cosa, pezzi di carta che si appiccicano e la busta gli scivola.

Il camion per la raccolta è arrivato e lo hanno preso per un barbone. Lui parla, con il busto inclinato dentro l’inferno, quasi gli manca il respiro, ma è riuscito a prendere un lembo della busta. Chiede aiuto inutilmente, tra i visi seccati, tira su la busta, lentamente, per non perderla, come se fosse un premio, uno di quelli delle macchinette alle fiere, dove non riesci mai a sollevare con la piccola gru, il pupazzetto che hai scelto.

Strappa un lembo della busta e vede un braccino.

< É un neonato!>

Lo toglie dalla busta, sta mugolando a occhi chiusi, è quasi blu, come il lungo cordone ombelicale ancora attaccato, che scivola dentro al marciume. Lo afferra al volo, si toglie il giaccone e avvolge quel minuscolo essere umano, uscito dall’astronave, sopravvissuto a quel viaggio. Stanno chiamando il 113 e il 118, il traffico è bloccato, tra i clacson qualcuno scende urlando dalla macchina, qualcun altro arriva a fare foto. Ma lui, stava scaldando il corpicino, lo massaggiava proprio nell’attimo in cui aveva aperto un po’ gli occhi e sembrava sorridere.

Ora non si muove più, non mugola più. Continua ad accarezzarlo piano fino a che arriva un dottore e glielo prende dalle braccia, lo carica su un’ autoambulanza. Rimane immobile, lo vede partire su un’altra astronave. La polizia gli sta facendo delle domande ma è attonito, coperto di immondizia. Domande di routine perché ritrovare cuccioli d’uomo buttati via, è diventata quasi routine.

Quei cassonetti ora gli sembrano immensi, quasi il lerciume fosse ovunque, non solo addosso a lui.

< Si è tagliato, dovrebbe andare a farsi controllare in ospedale, con tutti i topi che ci sono, ha messo le mani là dentro, senza neanche i guanti.>


Foto di patrick-hendry da Unsplash

17 pensieri su “L’astronave degli esposti

  1. Non so cosa dire per esprimere il mio apprezzamento: non trovo un aggettivo che riassuma il senso di quel intenderei scrivere. Le scene sono estremamente realistiche e si svolgono in una atmosfera talmente pregna di sostanza che all’improvviso il lettore si sente coinvolto a tal punto da pensare di essere il personaggio principale, percepisce tutti gli odori nauseabondi, si sente guardato dalle persone che si sono fermate a vedere, vede con amarezza anche il proprio abito macchiato. E tutto con un’emozione che non nasce da parole scritte a questo solo scopo, ma dalla profonda capacità che hai, cara Marcella, di creare una tensione inattesa ma via via sempre più crescente e che perdura nell’animo del lettore oltre la fine della lettura.

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