STALKING. Sapresti difenderti?
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L’odio è faticoso
Anche oggi è arrivata alla porta dell’ ufficio. Varca la soglia della monotonia e piaggeria, saluta chi già sta sistemandosi alla sua scrivania. La sua è là in fondo, quasi attaccata al muro, con dietro pesanti armadi in ferro, ciclopi muti che sovrastano, minacciano, sanno tutto. Al loro interno c’era anche lei, la sua storia lavorativa, le sue scarse performance e i suoi punteggi. Quasi le sembra di sentirli rispondere, a voce bassa, ai quesiti degli altri file, alle loro battute, ammutolendola di fronte ai migliori. É stressante.
Eppure, la sua scrivania é come una cuccia, se non fosse per quella pila di articoli che doveva finire di correggere. Oggi, riunione del lunedì. Le colleghe sono in tiro, energiche, tutte carine, anche quelle passabili. Lei non era proprio male, ma c’era sempre qualcosa che non andava, o i capelli, o il colore dei pantaloni, o le occhiaie. Eleonora, quarta di reggiseno, gambe infinite, glielo faceva notare sempre.
La riunione si svolge, come sempre, nella sala col tavolo ovale in vetro, di quelli che una volta terminato il briefing, rimangono cosparsi di impronte e aloni lasciati dai bicchieri riempiti d’acqua. Oggi, oltre ai soliti, hanno parlato anche altri due colleghi. Si sono fatti forza, avevano preparato una presentazione che tutti hanno fatto finto di ascoltare, buttando distrattamente un occhio al Capo redattore, per vederne la reazione. Terminata. A lei, non toccherà altro che correggere bozze. Ancora.
Sulla sua scrivania, una rosa, rossa.
Sulla sua scrivania. I colleghi che fanno battutine, le colleghe che fanno finta di niente, tranne Eleonora, che arriva insieme alla chioma bionda e vaporosa, chiedendole chi gliela manda.
< Non so Eleonora, non c’è neanche un biglietto.>
< Allora forse si sono sbagliati. Magari non è per te.>
Crepa, Eleonora. Ti odierei, se non fossi tanto stanca.
foto da unsplash
L’ultima notte
Oggi hai paura. Chissà perché capita, ogni tanto. Dicono che è una risposta ad una percezione, e allora ti prepari ad attaccare, stai sulla difensiva. É che stai sempre a pensare, non fa bene, non fa bene. Finisci con l’avere paura della paura, e lo avverti, il battito cardiaco aumenta, hai le mani fredde.
Come quando eri bambina, ecco, quei momenti in cui, nascosta sotto il lenzuolo, nel buio, ti sembrava di sentire una presenza. Era tuo padre.
Via, scaccia il mostro.
Il mostro è nel passato e il passato non ti cerca, non può riconoscerti. Smettila di dargli la caccia.
Mentre fissi i macchinari dell’ospedale, le luci azzurrognole e fredde dei neon, quel vecchio davanti a te, pieno di tubicini, ramificazioni di fili che lo collegano a complessi apparati medici, senti i suoni metallici e lontani, i soli che ne confermano la vita.
Lo guardi, quello è tuo padre.
É tuo padre?
Sotto quelle luci ora lo vedi, in tutti i suoi lati oscuri, immobile, come se lo avessero bloccato, catturato. Ora non può più venire a trovarti nella notte, non potrà mai più.
Allora perché sento freddo? Perché ho paura? Forse ti ho voluto bene, o qualcosa di simile.
Volere bene.
Ora che lo vedi impotente, fragile, come un burattino a cui puoi tagliare i fili, ora che non parla più, quasi non ti interessa.
Ti alzi dalla sedia e sposti lo sguardo sui vetri, fuori fa freddo ma qui dentro si muore dal caldo. C’é un parcheggio, qualche albero, due persone che camminano veloci con una busta di carta. Che ci sarà dentro? Dei fiori, sicuramente. Tu non ne avevi portati. Sospiri e aspetti. Senti le voci nel corridoio, i passi attutiti, qualche risata.
È tanto che non rido.
Entrano due infermieri, salutano e vanno da lui. Lo sistemano, controllano.
Ha le labbra secche, sembra un frutto lasciato al sole, raggrinzito, contorto, con un ciuffo bianco sparso sul cuscino in cui sparisce la sua testa. La stessa che vedevi immensa, nel buio, a occhi chiusi. I suoi occhi non li ricordi, erano piccoli punti luminosi, non li ricordi.
“Signora, viene domani? Forse è l’ultima notte.”
L’ultima notte.
Per chi?
Foto di Angel Luciano da Unsplash
Pandemia di odio

Cos’è che ci preoccupa? Sta iniziando l’inverno e si ricomincia a parlare di Covid.
Via, tutti a comprare mascherine.
< Eh, ma io, se vogliono farci fare un’altra vaccinazione, non la faccio.>
<Tanto è solo un’influenza un po’ più forte.>
Il ricordo atroce della Pandemia del 2020 sta svanendo, quel corteo di camion militari, carichi di bare ammassate, è nel passato.
Ma la Pandemia che dura da anni, quella che sembra davvero incurabile, spesso ignorata perché lontana da noi, ora é più che mai attuale: la Pandemia di odio. Palestina, Israele, Ucraina, Yemen, Mali, Armenia… Ne avvertiamo i sintomi? Abbiamo paura delle conseguenze? Certo.
Pensiamo di essere al sicuro, che questa peste rimarrà altrove, ma già si prendono contromisure. Si cerca di difendersi. Che altro potremmo fare? Come si può fermare la Pandemia di odio? É come un virus, anzi, peggio, perché miete vittime consapevolmente, segue un disegno, una strategia. Il virus, no.
Si può cercare un antidoto? Tutti diremmo che sta al singolo testimoniare, col suo comportamento, l’unica strada percorribile, quella della pace. La maggioranza s’inalbera, dichiara a gran voce il suo No alla guerra. Ma questo gene, presente in tutti gli esseri umani, la cattiveria, è assai più subdolo e tenace, pur non essendosi evoluto in migliaia di anni. È sempre lo stesso. Siamo sempre gli stessi.
A Gerusalemme convivono tre simboli religiosi, di tre religioni monoteiste: la Moschea di Al-Aqsa, sacra per i Musulmani; il Muro del Pianto, sacro agli Ebrei; la Basilica del Santo Sepolcro, sacra per i Cristiani.
Convivono i simboli, noi non ci riusciamo.
Crediti
Articolo liberamente tratto da un monologo di Maurizio Crozza: la Guerra.
Foto di Jason Leung da Unsplash

