
Amo il Giappone, e non per qualche sorta di snobismo da sushi dipendenza, la mia è più un’ attrazione fatata. Qualcuno accennerebbe a ricordi di vite precedenti, ma chi mi conosce parlerebbe dei miei viaggi a Tokyo e Osaka, molto semplicemente.
La Terra del Sol Levante mi ha sempre affascinato.
Noi gaijin (stranieri), siamo ancora visti come intrusi. E vorrei vedere. Chi in Occidente mette la mascherina su naso e bocca per non contagiare gli altri?
Sono aspetti ormai noti ai più, ma amo ricordare le sensazioni che questo paese mi ha dato le prime volte che mi sono sentita come “fuori dal mondo”: ero sola a Tokyo, in piedi in una stazione della metro di Shinjuku, ed era il lontano 1987. ERO MOLTO GIOVANE, DACCORDO? (cit. Vanna Marchi)
Una sorta di “Lost in Traslation“, la testa in una bolla ovattata, i neon conficcati nelle pupille, tra i suoni del Pachinko e i cicalecci delle stazioni.
Stavo come inebetita davanti ai pannelli della metropolitana, completamente in giapponese, come un pilone piantato in mezzo a migliaia di persone che camminavano e mi schivavano velocissime. Tentavo di stabilire un contatto ma era come parlare ad un ologramma.
Col tempo ho capito che non era per assenza di empatia, bensì per eccesso, che era così difficile stabilire contatti con loro. Il non essere in grado di rispondere a un quesito poteva causare atroci sensi di colpa ed essere classificato maleducato e antisociale.
Bello il Giappone, con tradizioni antichissime e ancora rispettate, e una cultura di base che porta tutti, nessuno escluso, a svolgere al meglio il proprio lavoro con l’obiettivo di rendere un buon servizio agli altri.
Folle il Giappone, che non perdona gli sbagli, che isola sapendo di isolare. Dopo anni ho visto i primi homeless, ex salaryman, raggruppati ordinatamente dietro le siepi di un parco, con i cartoni a terra, senza ombra di sporco, senza disordine. Piccole case mono-persona, con tanto di fornellini a gas e pile per illuminare. Lucciole tra il verde, dietro la vita che intanto continuava, mentre la loro era stata interrotta da un errore, in genere sul lavoro, o dal troppo bere dei venerdì sera.
Scrivo questo mentre sto tornando da Nikko, dove ho lasciato un tanzaku (desideri scritti e appesi sui ramoscelli di bambù).
É un desiderio, quindi non lo svelerò, ma stasera andrò a mangiare la Lacrima dell’Angelo, Agel’s tear drop, una coccola dolce, in un locale, vicino ad Harajuku, che ti trasporta fuori dalla frenesia di Tokyo che continua, appena girato l’angolo.
Sarà meraviglioso?
Sangatsu Yōka 2017 – Tokyo (8 marzo 2017)
immagine da UNSPLASH




