UNO, il cavallo bruno.
Blu. Spazio libero, vuoto o cavità? Potrei essere dentro qualcosa? Nel vuoto c’é totale assenza di materia ed energia, ma io penso. Attendo. Non ho progetti né desideri, attendo.
Non mi starò annoiando? Come in certe lezioni al liceo, quando la mia mente si isolava, viaggiando tra le pagine di libri di storia o filosofia, i miei libri. E facevo sega, per rimanere a leggere a casa, nella biblioteca di mia madre. Quanti libri ho letto, divorato. Allora, spesso mi annoiavo.
Una filastrocca….
DUE, le corna del bue.
Nero. Ed eccomi, sono inchiostro sulle pagine, e le mie dita, devono essere le mie, che sfogliano le pagine. Poi mi fermo perché ho sentito dei rumori. Fiato sospeso, silenzio e ricomincio a leggere. Vedo le immagini della mia mente, come fumetti, in cui divento Nemesi, Rea, Atena. M’innamoro degli Argonauti e di Medea, fantastico sul Minotauro e la sua infelice sorte. Viaggio a Creta, nella sua storia, io onda violenta nelle battaglie tra i flutti del mare.
TRE, le mele per te.
Rosso. Che imbarazzo. Sono quasi paralizzata, in casa. Delle ragazze, studentesse di mia madre, sono passate a trovarla. Sento la sua voce chiamarmi. Non voglio andare, ti prego mamma, non mi va di venire a salutare. E sono là, in piedi, muta. E loro parlano, parlano, parlano. Posso andare? No, non sono timida. Sì, sono timida. Rosso, rosso fuoco sulle guance, nelle vene, la mia bocca asciutta e le mie mani sudate. Scivolo, scivolo via come il sudore.
QUATTRO, le zampe del gatto.
Bianco. C’è una festa in maschera, un Carnevale, sono ragazzi vestiti e truccati. Io, devo essere da qualche parte. Non mi vedo ma so che gli altri mi vedono. Io, non mi vedo. Fuori piove e in casa fa caldo mentre sto guardando fuori dalla finestra, la apro e faccio entrare il vento e la pioggia. Mi bagno, il trucco mi cola dal viso, lasciando righe che sembrano lacrime. Ero così triste? Non ho ricordi.
CINQUE, le tinche.
Cobalto. Questo turbinio di pensieri mi confonde. Sto volando e guardo fuori dall’oblò dell’aereo, cerco di isolarmi dal frastuono del vociferare, dal rumore costante dei motori, un rumore bianco che dovrebbe rilassare. Invece sento tensione, come se quel microcosmo stesse per esplodere. Troppa gente stipata, troppo poco ossigeno, troppa vita compressa in un tubo. Aria, sono aria che si fonde ai temporali, al ghiaccio delle nuvole.
SEI, le rose per lei.
Rosa. Ora che succede? Vedo i miei suoceri, siamo appena tornati da Bangkok e ho portato delle magnifiche orchidee che hanno retto quasi 12 ore di volo. Che colore! Sono immersa in così tante tonalità di rosa da essere frastornata. Ma le scatole sono vuote. Dove sono finite? Non ricordo. Vedo la tavola, quattro persone immobili, come congelate, nessun movimento, nessun suono. Eppure mi vedo. Ma non sono a casa, sono al ristorante Cabbage and Condom, a Bangkok, nel giardino umido e illuminato da fili di minuscole lampadine, col mio amore, le mani che frantumano i granchi piccanti, le mani che si cercano, le mani che galleggiano nelle coppette di acqua tiepida e lime. Che profumo, avvolgente profumo.
SETTE, il pane a fette.
Giallo. Quanto tempo sarà passato da quando sono morta? Non che abbia molto senso pensarci ma così, per curiosità. Mi manca un po’ il riferimento temporale, non l’avrei mai detto. In effetti non mi manca nient’altro. Non sto cercando niente, a parte la signora anziana che non incontro più. È molto umano questo mio bisogno di chiarimenti, forse l’unica parte terrena che mi è rimasta. Per il resto credo di non esistere più.
OTTO, Il pagliaccio col cappotto.
Cremisi. Unghie rosso fuoco e appuntite. Colloquio di lavoro, il primo della mia vita, ma le unghie non sono le mie, sono della mia amica, come si chiamava? Ho una sensazione di tradimento, repulsione. E sono a casa, tra le reazioni di delusione dei miei genitori, tra le loro voci che mi feriscono. Hanno assunto lei. Ma io volevo aiutarla… ma come ti viene in mente?… Lei, unghie, minigonna, trucco e sguardi. E io, che cresco. Devo essere diventata adulta proprio quel giorno. In fondo dovrei ringraziarla quell’amica. Una zaffata di profumo, forte, dolce, troppo dolce, fastidioso, rosa. Era stato il suo regalo, una bottiglietta rosa di Arrogance… ce ne vuole sempre un po’ nella vita. Un rivolo rosa che mi trascina via, lontano.
NOVE, l’ora delle piove.
Grigio. Il rivolo rosa sta cambiando colore, diventa una melma grigiastra e solidifica in una pietra enorme. Non sarà un calcolo? Forse questa brutta esperienza mi ha lasciato un trauma, conseguenze nella salute? E chi se ne frega. Non può essere, mai avuto problemi ai reni. E poi, sono qualcosa? Cosa importa quello che è stato? Cosa importa.
DIECI, la minestra pasta e ceci.
Je voudrais une girafe
aussi haute que la maison
avec deux petites cornes
et des sabots bien cirés
je voudrais une girafe
pour entrer sans escalier
pour la lucarne du grenier.
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