La memoria non ha muri

Concluso. Avevano terminato con la lettura infinita, le firme e la consegna degli assegni.  Finito tutto. Venduta. Uscendo dallo studio del notaio avvertì il vuoto nello stomaco, una sorta di panico controllato che non contorceva le budella ma si dilatava, muovendosi lentamente nella pancia. L’acquirente volle offrirle da bere e, al bar, davanti a un analcolico, le chiese di passare insieme nella casa, voleva darle qualcosa, qualcosa che aveva dimenticato.

Possibile?

Il tragitto fu breve e triste, con un senso di colpa crescente, quasi avesse abbandonato un cucciolo per strada. Il portone, l’androne e l’ascensore. Osservava tutto, ogni angolo, ogni imperfezione che la salutava. La porta, la porta della casa dei suoi genitori, con ancora attaccata la targhetta con i loro nomi. Il suono delle chiavi che aprivano, un rumore così intimo, familiare. Lui entrò e accese le luci, poi andò ad aprire le finestre e le persiane, lasciando apparire le stanze vuote, sventrate.

Era stato duro decidere cosa vendere e cosa tenere, dividere con il fratello, gesti che avevano lentamente sbranato gli oggetti dei suoi genitori, soffermandosi, di tanto in tanto, a guardare gli album delle foto, divise per anni.

Gli angoli della casa erano carichi di energia, i segni sul parquet erano cicatrici nella memoria. Ogni stanza era colma di ricordi di vita, di parole non dette, di segreti che non avrebbe mai saputo.

Le tende si mossero un po’ per la corrente d’aria mentre i passi rimbombavano nel salone vuoto, senza neanche un mobile. L’acquirente lo aveva voluto completamente libero. Era rimasta solo una lampada da terra, sotto la cui luce si sedeva suo padre a leggere. Tutto il resto era stato portato via e sistemato in scatoloni accatastati.

Si diresse verso la cucina e le sembrò di vedere le ombre dei suoi genitori, di spalle, mentre, uno di fianco all’altro, preparavano le loro medicine per la sera.

  • Ecco.

Quasi spaventata, come se l’avessero svegliata di colpo, si voltò e vide un quadro tra le mani del nuovo proprietario, lo sconosciuto che stava già marcando il territorio, il suo territorio.

Era un quadro della sua mamma. Come aveva potuto dimenticarlo? Si ricordò di averlo appoggiato sul letto, quel giorno stava piovendo e suo fratello non la smetteva di parlare.

Lo prese tra le mani, lo fissò avvertendo la commozione che tracimava dagli occhi feriti da un riverbero. Chiuse e aprì gli occhi più volte cercando di mettere a fuoco. Erano là, riflesse chiaramente, le mani di sua madre, bellissime mani, con uno dei suoi anelli “matti”, enormi e meravigliosi. Chiuse gli occhi.

Ringraziò e senza guardare più niente, avvinta a quel quadro, salutò con i convenevoli di rito e chiuse la porta dietro di sé.

Ci sono case che ti lasciano solo quando sei pronto.