
Finito. Ho postato l’ultimo reel. Sono le 2:53. Controllo il numero di follower, sono tantissimi. E ce n’è voluto di tempo, di lavoro, tanto lavoro. Quello che all’inizio sembrava un divertimento, ora è la mia occupazione. Un lavoro.
Dovrei coricarmi, sì, anche se non avverto la stanchezza ma gli occhi sono due spilli e bruciano.
E questo? Un commento cretino, che faccio? Rispondo. Ma no. Lascio perdere.
All’inizio rispondevo a tutti, ma ora so come manipolare gli algoritmi, so come manipolare le persone. Si impara.
OK! Chiudi l’applicazione e vai a coricarti.
Il letto non è più la mia cuccia, il letto è una propaggine del computer, del tablet. Dal telefono sul comodino la luce piano piano si spegne ma la mia mente invece continua a pensare. E il telefono vibra, una volta, poi una seconda. Alla terza lo prendo. Apro l’applicazione. Commenti nuovi. Condivisioni.
Ma come? Il numero dei follower è calato!
Mi siedo e comincio a rispondere. Poi cancello e riscrivo. Uno, due, tre, troppi che scrivono che sono falsa. Fosse stato solo uno non ci avrei fatto caso, ma sono tanti. Qualcuno ha postato un emoji incazzato.
Perché? Cosa sta succedendo?
Il mio ultimo reel non è piaciuto. Quell’emoji rosso mi sta fissando. Lo ignoro.
Ti ignoro. Domani, forse, risponderò.
Mi corico. Chiudo gli occhi e sospiro.
Devo postare alle 8:30, la fascia oraria migliore. Poi alle 13:00. E una storia alle 18:00.
L’algoritmo non perdona. Se perdi i colpi ti penalizza. Espiare – pagare. Se non sto al passo rischio di perdere collaborazioni importanti perché la mia immagine non è più, uniforme, e non produce più lo stesso risultato. Le persone lo avvertono e cominciano a dubitare. Mi risiedo e controllo. Valuto analitiche e statistiche: le interazioni sono in calo.
Perché? La mia performance è in calo, non bastano più gli hashtag mirati e gli audio trend?
Sarà un momento. Devo ignorarlo.
Riprendi il controllo.
Ed è giorno. Mia madre mi chiama per la colazione. Ma sì, mi alzo e mi sciacquo il viso. Mangiare qualcosa mi aiuterà. Seduta al tavolo, con una tazza nella mano e il telefono nell’altra, sento mia madre che si lamenta.
- Perché hai sempre quel coso in mano?
- Questo coso, mamma, è il mio lavoro.
- Lavoro? Lavoro significa fatica! Non giocare, non perdere tempo!
Non capisce. Non può.
Quando arriva un like, è una carezza, un pezzo di puzzle che definisce il mio ego.
Deciso!
Posto un video al naturale! Così come sono, senza filtri. Confesserò che sono stanca, racconterò delle mie insicurezze. Vulnerabile. Un atto di coraggio. Questo ci vuole.
Fatto. Postato.
Riguardo la clip. Non mi piace. Ma stanno arrivando i primi commenti.
“Mi hai toccato il ❤️”
Ma ripartono le critiche.
“ Ah falsa!😎”
“Ma a chi la vuoi dare a bere? Reciti pure male”
“Vergognati 🙈, c’è chi sta male davvero”
“Ma quanto sei grassa?😱”
Come tante punture dolorose, uno sciame di commenti, tossici, crudeli. E non smettono.
Prendo il telefono. Ora rispondo con una storia. Ma i commenti continuano.
Una notifica.
“So chi sei. Smettila”
Un crampo allo stomaco. Rispondo, poi cancello.
Il messaggio è sparito. Account inesistente.
Ed è già notte. La stanza mi sembra enorme. Vado alla finestra, lampioni che illuminano zone di pericolo. C’è qualcuno là fuori.
C’è qualcuno?
Arriva una storia sul telefono. Qualcuno ha taggato il mio nome, davanti a casa mia.
Una foto. Sembra casa mia. È casa mia.
Ho freddo.
L’algoritmo è affamato.
Fuori, un’auto rallenta davanti al mio portone.
La luce del display si spegne.