La giusta dose

Ho la sindrome del cuore infranto. É una patologia, non lo sapevo. Sapevo però che il mio cuore era diventato un pizzo macramè, in cinque anni, da quando sono iniziate le gocce corrosive, gli spasmi della disperazione. Ho perso l’equilibrio. É solo dolore. Lo proviamo tutti. Lo proviamo tutti? Un giorno alla volta, un momento appresso all’altro, riempiendoli di cose da fare, cercando di colmare ogni anfratto in quell’immenso spazio che sembra dilatarsi. Ho cercato risposte che non esistono, ho cercato abbracci che non sono arrivati, ho cercato me stessa in questo vuoto che non era assenza ma eccesso di presenza. La tua.

Mi avvinghio alla tue cose, a una nostra foto, proiettando il ricordo della tua energia, aspetto un riverbero, una connessione con lo tsukumogami. E, mentre chiudo gli occhi, gli spiriti che abitano serenamente in quel rettangolo, che hanno vissuto 35 anni in questo oggetto, assorbendo la mia e la tua anima, sanno tutto. E parlo con loro cercando uno stato di coscienza nuova, una proiezione dei ricordi che abbiamo lasciato con le nostre impronte, con i nostri sguardi, un guizzo divino.

Una trasmutazione, questo è successo. L’assenza del gioco, del desiderio, l’inquietudine che nessuno vede ma che corrode dentro. Non ho cessato di vivere o, forse, sarebbe più corretto dire che una parte di me è restata in quel territorio sconosciuto, vicino a te, mentre l’altra ha smesso di implorare amore. L’anima ha iniziato a parlare non appena il rumore del mondo si è fatto insopportabile e così, mi alzo, lavoro, scrivo, parlo, sorrido, piango, in un disagio brutale che mi rende invisibile.

Questo silenzioso rodimento sta scavando. Ora, devo prendere la giusta dose che fa la differenza tra droga e medicina, mentendo a me stessa mentre mi guardo allo specchio, fisso nelle pupille dilatate e morbide, acquose, piccole onde che spesso debordano.

E sorridono i miei occhi, per te, che hai sempre amato il mio sorriso.

M.

Il silenzio dopo il mare (3)

E grazie a Paolo newwhitebear, vi tocca la parte 3! 🤓

Il silenzio dopo il mare”

A.A.A

Laura aveva finalmente staccato e, dopo un pomeriggio estenuante, stava pedalando sul marciapiedi del lungomare, ancora percorribile a quell’ora. Il baccano del mondo le era insopportabile e cercava di sentire il mare, quella litania di onde morbide e lunghe che parevano sforzarsi di raggiungerla. Il tragitto fu breve, più del solito. Voleva farsi una lunga doccia fresca e guardare con calma i giornali, custoditi gelosamente nella sua borsa, scoprire cosa aveva acceso la curiosità del Professore, al punto da ritagliare addirittura un annuncio.

Stava rientrando a casa, come ogni giorno, salutando i soliti negozianti e la vicina che stazionava sul terrazzo, muta vedetta pettegola, come una vecchia murena.

Ah, la bellezza del rumore secco del portone di casa che la chiude dentro, al sicuro come un pesce rosso nella sua boccia. Il suo territorio, in cui poteva essere imprevedibile, misteriosa, intoccabile, in un silenzio che non era vuoto ma tempo. Il suo tempo.

Il corpo tace sotto la doccia, si lascia accarezzare. I gesti solo lenti, sta ascoltando il sussurro della sua anima. Si asciuga e indossa un caftano di impalpabile cotone azzurro polvere. Ora è pronta.

Cammina a piedi scalzi sulle maioliche fresche fino al terrazzo, spalanca la porta finestra e fissa la lunga linea blu che separa l’acqua dal cielo. Appoggia i giornali sul tavolo e li apre entrambi, alla stessa pagina. AAA.

Il quadrato mancante: AAA non ho bisogno di essere scelta. Sono un portale, un incontro radicale con te stesso. Solo sera, dalle h 20.00

Laura si appoggia allo schienale della sedia. Forse il Professore ha provato nostalgia, senza un nome. Come una chiamata, Il bisogno di colmare un vuoto, un incontro con l’ombra.

Mancava un’ora alle h 20.00.

Prende il telefono, cerca l’indirizzo su google map. E telefona.

  • Salve, vorrei un appuntamento, per stasera.

Dall’altro capo del telefono, una voce calda, tranquilla, le chiede se sa l’indirizzo e le conferma per le h 21.30. Anna, si chiama Anna.

Laura sa cosa fare. Lei è un pesce abissale, sa adattarsi, è abituata a sopravvivere in ambienti difficili. Vivere in profondità rende forti.

Si alza, chiude la porta finestra, si veste. Il rumore secco del portone di casa è l’ultimo suono che sente.

Assenza

Un sospiro. Ancora. E gli occhi trattengono le lacrime come una diga al limite della capienza. Lei è seduta, vicino a suo marito, ed entrambi, stanno fissando la sedia vuota, davanti a loro. Il piatto mezzo pieno di pasta in bianco, col parmigiano, il piatto preferito da suo figlio. Quello era il piatto che le aveva sempre chiesto, quello era la via per la salvezza. Ma non era stato così. Neanche oggi. Il mostro che si era impossessato di Davide lo stava portando via, e lei sentiva i conati di vomito, dal bagno, e lo sciacquone, che dichiarava: é fatta.

Assenza.

Questa parola le si era insinuata sotto-pelle, durante le sedute con lo psicologo che aveva preso in cura Davide. Ma non erano le ragazze ad essere vittime di anoressia?

An-orexis, assenza di appetito(orexis), non è solo il rifiuto di nutrirsi, è assenza di desiderio, del desiderio di vivere.

Perché Davide?

Eri così intelligente, non capisco come mai non riuscivi ad ottenere voti migliori, per non parlare delle uscite con i tuoi amici. Quante volte ti abbiamo rimproverato per aver fatto cose assurde, come guidare bendato o lanciarti, da un palazzo di tre piani, all’altro. E quella volta che tuo padre ti ha visto uscire truccato come un trans, e gli avevi risposto che era un gioco? Gioco, sti c…i, io ero rimasta inorridita. Mio figlio, MIO FIGLIO, che va a passare una serata con chissà chi, conciato in quel modo. Ti sei drogato? Sono sicura che ti sei anche drogato.

Non sai più ragionare. Lo hai mai fatto? Bisogna pensare prima di agire!

Non vedi quanto ci fai preoccupare? Pensavo fossi più forte. Hai smesso di lottare, se mai hai cominciato. Io sono stanca, tuo padre è stanco.

Davide non ha nessun sentimento di colpa. Lui nega, negava sempre. Lui, allo specchio, si vede enorme e grottesco, immeritevole di esistere. Nella sua camera, perfettamente in ordine, i libri impilati per gamma di colore e dimensione, il letto immacolato, col copriletto rigidamente infilato ai quattro lati, la scrivania sgombra, con solo quattro penne allineate davanti al computer. Non c’era posto per ninnoli o fogli, per scarpe abbandonate a terra, magliette lasciate sulla sedia. Non c’era posto.

Prese dall’armadio, lucido e perfettamente chiuso, il suo borsone per la palestra ed uscì.