
É successo, ancora. E ancora succederà.
Camminando sulla ghiaia, circondata da un’aura afflitta, rarefatta, sto per salutare un mio amico. Non una persona che conoscevo, è un amico. E la percezione della tristezza cambia, lo strappo che sento nella tela della mia vita, nel drappo che ho creato fin dalla nascita tessendo la trama dei miei ricordi, lascia intravedere un taglio simile a una ferita. Filano i nostri pensieri, anche quando siamo convinti che non succeda niente, creano pattern a volte perfetti e che restano come preziosi ricami nel caos dell’ordito unico delle nostre vite. Così, come per tutti, anche il mio arazzo di vita è cosparso di momenti che testimoniano qualcosa di bello: le emozioni, le soddisfazioni, le amicizie. Philia, l’amicizia, un dono della vita che travalica l’amore inteso come eros, la passione, perché è il te stesso dall’altra parte dello specchio.
Quel qualcuno che non potevi non incontrare nella tua vita, affine e disinteressato, così in sintonia da avvertire il tuo malessere e gioire per i tuoi successi. Decisamente una mosca bianca. Niente a che vedere con la persona che ti vomita i suoi sfoghi come in un cestino dei rifiuti, lontano anni luce dalle frasi di convenienza: ”Chiama quando vuoi. Io ci sono”.
Guardandomi intorno, tra le figure immobili e vestite di scuro, annuso il profumo d’incenso e penso a quanto gli piaceva. Lui che diceva di essere epicureo, anche pensando alla morte come a qualcosa che prenderà il nostro posto, un evento ineluttabile, per poi immaginarsi come un’onda che ritorna all’oceano. Non spariremo, ci evolveremo.
Ora vorrei vedere e sentire le onde, vorrei scorgere un guizzo che gli assomiglia. Come una carezza che mi aiuti a continuare a tessere, senza cercare di riparare quello che non si può, incastonando in quel taglio un suo sorriso.
Shikata ga nai. Impara a lasciare andare.