Candele rosse

Sono andati via.

Avevano tanti giri da fare ancora.

Sono rimasti gli incarti luccicanti a terra, sul tappeto, fili d’argento e rossi che pendono anche dalla stella di Natale. Qualche nastro scende dal lampadario, l’aveva lanciati il piccolo, mentre giocava.

Quanto sono carini i miei nipoti.

La televisione ha il volume ancora basso, e scorrono balletti sullo sfondo di alberi natalizi e luci colorate. Saranno rimasti contenti delle buste con i soldi? Non posso dargli di più, ma è meglio che comprare un regalino che poi non gli piace. E poi, cammino così male che qui intorno non avrei trovato niente di adatto. 

La bimba mi ha dato un bacetto e quel “Grazie nonna”, ancora mi batte nel cuore.

Mi hanno regalato una coperta di pile, come l’anno scorso. Ma è utile.

Peccato che si siano fermati così poco, hanno mangiato solo una fettina di pandoro e qualche cioccolatino. neanche il torrone. Quando c’era papà, mangiavamo sempre un pezzo di torrone insieme, era la tradizione.

Da un po’ di tempo non riesco più a fare la pasta fatta in casa, ma il brodo sì, lo avevo preparato, speravo che si fermassero almeno stasera, visto che domani saranno dall’altra nonna. Lei è più giovane, è ancora attiva, e poi, ci sono tutte quelle zie che li riempiranno di regali.

“Vai a dormire presto, mi raccomando mamma!”

I ricordi riappaiono vividi mentre li saluta, e il “Buon Natale” rimbomba nella tromba delle scale. L’ascensore si è chiuso.

É la Vigilia e per lei è già finita. Babbo Natale, qui, passa molto presto, e non si ferma.

Si prepara un piatto di anolini in brodo, uno solo, ma lascia apparecchiato per cinque. Aveva messo la tovaglia rossa e la decorazione al centro, con i candelabri e le candele rosse accese. Mette il suo piatto sul vassoio del girello e va lentamente dalla cucina alla sala.

Che silenzio.

Alza un po’ il volume della televisione, si mette a tavola e vorrebbe un bicchiere di spumante ma non ha la forza per aprirlo. Non lo avevano voluto, dovevano guidare.

La canzone Merry Christmas rimbalza sui muri, sulle fiammelle delle candele che cominciano a colare. Il brodo è caldo, lo beve lentamente, alza il viso verso la sala vuota e una lacrima scende piano, fino al piatto.


foto di Vasilina Sirotina da Unsplash

Ti auguro tempo.

Oggi è grigio. Tutto.

Il cielo, gli alberi, il mio riflesso sui vetri del bar. Non piove ma è tutto bagnato, siamo in un enorme bagno turco gelato, quasi un ossimoro, a pensarci bene.

Se ci fermassimo per strada, saremmo ricoperti da una brina, grigia.

Eppure ha un suo fascino, tutta quest’acqua, presente e invisibile, così necessaria ma fastidiosa in questa forma. É confortante sapere che non è eterno, niente lo è, domani potremmo essere scaldati da un pallido sole, rivedere i colori.

C’è una costante in tutto ciò, la nostra frenesia. L’energia cinetica che sembra l’inesauribile spinta quotidiana nella routine delle nostre giornate.

E così, c’è sempre qualcuno che si lamenta del lunedì, come c’è sempre qualcuno che inneggia al venerdì. Le giornate in mezzo perdono, sono solo il passaggio tra due sensazioni. Una vita così è triste come questa giornata.

Osservo l’impiegato che ha appena preso il caffè e, anche senza parole, manda segnali, già proiettato alla fine della giornata. Una giornata persa, tempo prezioso che verrà ignorato perché evidentemente non dedicato a ciò che vorrebbe. Certo, gli impegni quotidiani non sono sempre giri di giostra, ma rimango dell’idea che, nel fare, sia importante il come, più del cosa.

Chissà con cosa ho zuccherato il caffè oggi? Troppa filosofia nella canna da zucchero.

Comunque, ora che te ne vai, col passo stanco, svuotato, aspetta!

Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo, ti auguro tempo perché te ne resti.

Davvero, vorrei poter dispensare tempo come una dea, una Kālī positiva. Ma sei già fuori, nel grigiore, molle come una medusa finita sul bagnasciuga, sbatacchiata dalle onde.

Domani, domani ci sarà un po’ di sole.


TI AUGURO TEMPO (Elli Michler)

Non ti auguro un dono qualsiasi,
ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;
se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.

Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare, non
solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.
Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,
ma tempo per essere contento.

Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,
ti auguro tempo perché te ne resti:
tempo per stupirti e tempo per fidarti
e non soltanto per guardarlo sull’orologio.

Ti auguro tempo per toccare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.

Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.

Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.

Ti auguro tempo anche per perdonare.

Ti auguro di avere tempo,
tempo per la vita.


Foto christina-langford-miller- da Unsplash

Amabile nulla

Amabile. Lei era così, glielo dicevano spesso.

Era quel tipo di persona che passa inosservata, mai sopra le righe, forse un po’ solitaria. La sua casa era in ordine, sempre. Non un granello di polvere, non un cuscino fuori posto, anche le tende, immacolate, erano immobili, a piombo, perfette. Una vita in discesa la sua, famiglia normale, nessuna eccellenza negli studi, laurea conseguita nei tempi e il lavoro era arrivato facile, grazie al papà, in uno studio di architettura. Niente di più, niente di meno.

Si era svegliata come ogni giorno, da quattro anni, alle 06.15, ed era scesa dal letto col piede destro, sempre lo stesso piede. Una routine di gesti ed abitudini, dall’accendere il bollitore dell’acqua, al fumare la prima sigaretta davanti alla finestra, ancora in pigiama. Il cielo era azzurro, i palazzi di fronte sembravano deserti, un silenzio reboante. Quella notte aveva dormito male, per l’ennesima volta le avevano chiesto di passare un progetto ad un altro collega. Per l’ennesima volta lo aveva aiutato.

“Sei davvero amabile.”

Era amabile quando le amiche le davano buca, quando tutti potevano contare su di lei, quando non disturbava, quando non esisteva.

Era lunedì.

Lunedì: pantaloni e camicia, scarpe e borsa abbinate. Tazza lavata e asciugata, tapparelle abbassate, chiavi di casa e il rumore del portone che si chiude. Rimbomba un attimo nella tromba delle scale, solo un attimo.

Uscendo dal palazzo il vento le gonfia i capelli e la camicia, mentre le sembra di camminare a fatica, come se affondasse nella ghiaia, fino al cancello. Era già arrivata alla metro, non le era chiaro quale tragitto avesse fatto, sicuramente sempre lo stesso, ma non si era fermata al bar. Forse sì.

Non le importava, stava aspettando, nell’aria stantia, tra tante persone che parlavano, ma non sentiva. Stava aspettando sulla linea gialla. Una donna, né giovane, né vecchia le si piazza davanti.

Sei amabile.

Arriva l’aria che precede il rumore e quell’odore acre di metallo e cemento, poi, le luci della metro. É quasi lì.

Le sue mani si alzano lentamente e spinge, forte, la schiena che ha davanti a se. Urla, braccia che la braccano, schizzi di sangue ovunque, l’orrore negli occhi delle persone, lo sgomento.

Silenzio, fate silenzio, fatemi spazio, non vi vedo. Non vi sento.


Foto di Alexander Grey da Unsplash

Juno è NEL mondo

Tensione, mani sudate, bocca asciutta. Forse ci siamo. Anzi, no, è ancora presto.

Erano arrivati da qualche ora, ma prima di loro, erano arrivati i loro cuori, i battiti veloci, l’entusiasmo e il terrore.

Ora che sono nella sala parto, lei accarezza la pancia, lui accarezza lei, mentre la luce sembra diversa, morbida, i neon non disturbano più, l’aria è immobile, le ombre invece si muovono veloci. Gesti sapienti che guidano, posizionano, preparano attrezzi chirurgici.

Ma lei si sta staccando da tutti, è connessa con se stessa e con quella parte di lei che presto la cercherà, la riconoscerà senza vederla.

Ed è dolore, profondo e infinito, mai provato. É emozione, paura, voglia che finisca, mentre lui fa le foto, le tiene la mano, ma quando il dolore diventa atroce lei vorrebbe morderla quella mano. Cerca di non urlare ma non comanda più lei, ora è il suo corpo che detta legge, che impone i tempi. La natura ha il sopravvento, la violenza che strappa, che non si ferma.

Come un tubo dell’acqua che esplode, un’onda fragorosa, ecco ripetersi il miracolo. Juno è fuori, al mondo.

Lui taglia il cordone ombelicale e Juno avvisa tutti a squarciagola, fino a che, nelle braccia di lei, avverte di essere al sicuro.

Per le ombre intorno è routine, per loro è Juno. Benvenuta NEL mondo.


Foto di charles deluvio da Unsplash