Bilico

Io non mi conosco. Non vedo perché dovrei per forza ascoltare.

Uscendo di casa, con la testa che continuava a raccontare la solita storia, aveva preso la direzione verso il centro. Una folla che camminava, in disordine, osservando le vetrine già addobbate per il Natale. Tante luci dai fari delle macchine, riflessi che le ferivano gli occhi e quel sottofondo rumoroso, quel chiacchiericcio molesto che la infastidiva. Avrebbe dovuto già pensare agli acquisti, ai regali, ma proprio non ce la faceva. Avrebbe dovuto essere, se non allegra, almeno consapevole della fortuna che aveva. C’erano problemi? No.

Alla fine, tutti hanno problemi, anzi, preoccupazioni. I problemi sono altri.

Niente da fare. Il cervello ruminava, inquietava, chiedeva la pace. Poi, di colpo, un tonfo sordo e violento. Una frenata che sembra non finire mai.

Gente che urla e corre.

Qualcuno è stato investito?

Giaceva a terra, sull’asfalto, ferma e sanguinante. Era buio e le voci non le sentiva più. Ascoltava quel silenzio, quel vuoto. Ma non era pace, era terrore. Le sembrava di vedere piedi, tante scarpe. Rimase a fissare degli stivaletti bicolore, nero e marrone e pensò a quanto erano brutti. Poi, si sentì sollevare, mani che la posizionavano su qualcosa di rigido, piccolo, perché le braccia le cadevano penzoloni.

Sirene e sballottamenti. Voci. Poi, più nulla.

Ascoltava quel buio silenzioso. Era diventata quel silenzio, quel vuoto, senza intervenire.

Non intervengo. Non interviene il mio io. É questa la pace? Sono sconosciuta a me stessa, ho smesso di raccontarmi.

Codice rosso.