Assenza

Un sospiro. Ancora. E gli occhi trattengono le lacrime come una diga al limite della capienza. Lei è seduta, vicino a suo marito, ed entrambi, stanno fissando la sedia vuota, davanti a loro. Il piatto mezzo pieno di pasta in bianco, col parmigiano, il piatto preferito da suo figlio. Quello era il piatto che le aveva sempre chiesto, quello era la via per la salvezza. Ma non era stato così. Neanche oggi. Il mostro che si era impossessato di Davide lo stava portando via, e lei sentiva i conati di vomito, dal bagno, e lo sciacquone, che dichiarava: é fatta.

Assenza.

Questa parola le si era insinuata sotto-pelle, durante le sedute con lo psicologo che aveva preso in cura Davide. Ma non erano le ragazze ad essere vittime di anoressia?

An-orexis, assenza di appetito(orexis), non è solo il rifiuto di nutrirsi, è assenza di desiderio, del desiderio di vivere.

Perché Davide?

Eri così intelligente, non capisco come mai non riuscivi ad ottenere voti migliori, per non parlare delle uscite con i tuoi amici. Quante volte ti abbiamo rimproverato per aver fatto cose assurde, come guidare bendato o lanciarti, da un palazzo di tre piani, all’altro. E quella volta che tuo padre ti ha visto uscire truccato come un trans, e gli avevi risposto che era un gioco? Gioco, sti c…i, io ero rimasta inorridita. Mio figlio, MIO FIGLIO, che va a passare una serata con chissà chi, conciato in quel modo. Ti sei drogato? Sono sicura che ti sei anche drogato.

Non sai più ragionare. Lo hai mai fatto? Bisogna pensare prima di agire!

Non vedi quanto ci fai preoccupare? Pensavo fossi più forte. Hai smesso di lottare, se mai hai cominciato. Io sono stanca, tuo padre è stanco.

Davide non ha nessun sentimento di colpa. Lui nega, negava sempre. Lui, allo specchio, si vede enorme e grottesco, immeritevole di esistere. Nella sua camera, perfettamente in ordine, i libri impilati per gamma di colore e dimensione, il letto immacolato, col copriletto rigidamente infilato ai quattro lati, la scrivania sgombra, con solo quattro penne allineate davanti al computer. Non c’era posto per ninnoli o fogli, per scarpe abbandonate a terra, magliette lasciate sulla sedia. Non c’era posto.

Prese dall’armadio, lucido e perfettamente chiuso, il suo borsone per la palestra ed uscì.

In-videre.

“Complimenti cara!!!” Occhio, malocchio… gli occhi non mentono. Quando il suono dei complimenti non è in sincrono con la luce degli occhi possiamo difenderci optando, a scelta, tra un gesto scaramantico dei più tradizionali o un rito woodo.

A volte si tratta di fronteggiare la semplice falsità, qualche volta siamo alla gogna dell’invidia. Perché?Perché siamo umani, deboli, a volte orribili, e ci piace il colore verde, noto colore dell’invidia, meglio se tendente all’acido.

Quindi anche se tutto, ogni cosa, vuole essere amata, capita che non ci riusciamo e visto che non possiamo invidiare un criceto, invidiamo gli altri esseri della nostra specie.
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Direi che è la reazione opposta a quanto avviene con le affinità elettive, “dove affini sono quelle nature che incontrandosi subito si compenetrano e si determinano reciprocamente”.
(cit. J. W. G.)
Con l’invidioso invece nessun amalgama o immedesimazione, come se si tentasse di mescolare l’olio e l’acqua. Piuttosto si fanno paragoni, si “guarda storto” (in-videre, lat.), macerandosi nella certezza che l’altro sia MEGLIO.
Vade retro. E’ sempre colpa degli altri, siamo sempre vittime? E se fossimo le cause?
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Mi piace pensare che sia possibile e ci provo.
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Allora, ” Tu, maledetta che sculetti su quei tacchi come se ci fossi nata e te ne vai senza neanche salutare mentre tutti ti guardano sognanti, sappi che NON ti invidio per niente.
NON invidio la tua bellissima età, NON invidio i tuoi successi professionali arrivati così in fretta,
NON invidio…”
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NON ce la posso fare.
NON è vero.
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Perdoniamoci.
E chiediamo scusa a noi stessi per aver creduto di non essere abbastanza.