
La rabbia è un dolore travestito da forza. Quella rabbia che le stava facendo male, che le triturava le viscere e che non sapeva come sfogare. Pensava a come era arrivata a quel punto, dove aveva sbagliato, non c’era spazio per altro nella mente.
Questo è il mio momento, ci sono io qui. A questo ho puntato lavorando tanto, esponendomi, uscendo dall’ufficio per ultima. Come ho potuto lavorare con il nemico senza accorgermene? E adesso, che dovrò parlare davanti a tutti, di un progetto che non è il mio, raccontare una storia che non mi appartiene, rischio di fare una figura pessima.
La sala era gremita, la convention annuale era un punto di arrivo, i dirigenti erano là, impegnati in pubbliche relazioni e sorrisi, scambi di business card. Lei era tesa, vibrava come un violino con le corde di un calibro sbagliato e, quelle corde, sapeva benissimo chi gliele aveva cambiate. Proprio quell’esserino apparentemente innocuo che se ne stava seduto in prima fila, che sfuggiva il suo sguardo ma che sembrava aspettare. Pensava di essere l’unica via di salvezza, lui che aveva cambiato le carte in tavola, lui che aveva sostituito il progetto all’ultimo momento con la sua versione. Ed era in una chiavetta usb, pronta, scaricata e sparita.
Il Direttore era all’oscuro, guai a far esplodere questo bubbone. Non hai il controllo sulla squadra, non sei stata pragmatica, non sei una leader.
A quanto pare no, a quanto pare sono una che si fida, non so se abbia un valore oggi, forse no. Ma col cavolo che rinuncio alla presentazione. Non potrà discostarsi poi tanto dall’originale. Vado a braccio, lo so fare.
Tocca a me. Faccia da poker. Poi penserò a te che adesso non mi sembri più neanche così pericoloso. Guardami, sto entrando in scena. Guardami e impara.
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