
Autunno. Finite. Le vacanze sono finite. E osservò le prime foglie autunnali che, in strada, si erano sollevate inseguendo una moto, come i barattoli appesi dietro alle macchine dei novelli sposi. Un caffè americano sul tavolino e il telefonino alla mano, valutò che, tutto sommato, il cielo le ricordava certe mattine estive fresche, quando usciva prestissimo per godersi i rumori ovattati delle barche che cozzavano pigramente sulle boe. Ma i colori, i colori del tempo erano virati, velati come le nature morte, in una tassellazione in cui tutto sembra immobile.
Immaginò la sua vita riflessa sulla sfera di Escher. Si sentiva intrappolata, congelata.
Potrei farne un fermacarte, di quelli in plexiglass, in cui imprigionano una foto o un oggetto.
Passò, davanti a lei, una giovane mamma con il telefonino all’orecchio e una bambina in braccio. I loro sguardi si incrociarono. La bambina aveva gli occhi grandi, neri, profondi, ma immensamente malinconici. Un ricordo, uscito chissà come, la intristì senza motivo.
Scrollò il suo telefono, cercando video sulle felicità, e si fermò ad ascoltare un’intervista fatta ad un anziano signore.
Mi scusi, cos’è per lei la felicità?
L’anziano, ancora in forma per la verità, stava camminando da solo e si era fermato. Il suo sguardo gentile s’indurì. Non lo so. Sono attimi così veloci che neanche restano nella memoria. Restano solo i rimpianti. Improvvisamente, era diventato vecchio.
Si era alzato un po’ di vento e le aveva spostato i capelli sul viso, sibilando così forte da coprire il dialogo nel telefono. Non si può essere tristi da bambini e anche da vecchi. E in mezzo? Pensa, pensa! Scandagliò la memoria, cercando gli attimi di pura gioia, quei ricordi che sembrano diapositive corrose dall’oblio. Appoggiò i gomiti sul tavolino, mise le mani sulle orecchie e chiuse gli occhi. Intorno le persone entravano e uscivano dal bar, macchine e camion sfrecciavano in lontananza, la gente parlava, il vento parlava, la mente parlava. Qualcuno urtò il suo tavolino e fece cadere la tazza. Aprì gli occhi sulla pozzanghera nera, il colpevole si stava scusando ma lei non lo sentiva, guardava il luccichio.
E in un attimo, affogando in quel nero, capì che, quella bambina, quella bambina le aveva letto dentro.