Il tubetto di dentifricio

E siamo qui. Ancora una volta. Io, te e il tappo del tubetto di dentifricio. Tutta questa punteggiatura serve come un mantra che mi aiuta a minimizzare quel piccolo moto di stizza che mi prende ogni volta che vedo la pasta biancastra del dentifricio formare arabeschi disegni sul lavabo. L’acqua scorre e anche oggi aspetto. Attendo paziente che tu termini, abbracciandoti alla vita da dietro. Poi tu mi sorridi, mi dai un bacio dolce sulla fronte e te ne vai. E io rimango a  guardarmi allo specchio, prima di spostare il mio sguardo verso il basso, là dove già so che, con insolenza, troverò a fissarmi IL Tappo. Proprio lui, con quella coroncina da sovrano, altezzoso e fermo sull’orlo, ben distante dal SUO tubetto di dentifricio.

Il Tappo è consapevole del suo potere racchiuso in pochi centimetri di plastica, sembra sfidarmi, e io, cavaliere senza corazza  in questa lotta impari, ignorandolo ancora una volta, con fare deciso lo prendo e lo avvito al suo destino. Quante coppie sono state travolte dalla sua infida presenza? Quanti hanno perfino litigato, per colpa sua?

Lo specchio mi rimanda la mia immagine sorridente, con lo spazzolino in mano. Il tubetto di dentifricio ora è al suo posto, innocuo e un po’ emaciato si mostra per quello che è. Buona giornata.

Al posto giusto

Sono al posto giusto, come un cucchiaio nella Nutella.  Deve essere per questo che oggi nessuno regge il mio sguardo o forse sono semplicemente “un tantino fuori”. Sarà che ho pianto molto e ora mi guardo con benevolenza, saggiamente consapevole che non è ancora finita, che altre prove mi attendono proprio là, dietro quell’angolo, camuffate da opportunità e non da scelte obbligate.

Che nessuno oggi mi ripeta slogan faciloni sulla positività, sui colori della vita e la beatitudine del nirvana. Oggi mi sento al posto giusto, la mia mente è in vacanza e rifugge eventi straordinari. Fisso la vetrina di una gelateria e il mio sguardo trapassa la mia immagine riflessa, fino ad arrivare alla ragazza che sta componendo un complicatissimo cono con topping colorati. La mia attenzione è attirata non tanto dalla torre di babele di gelato quanto dalla divisa della ragazza: reggiseno a punta stile Madonna anni ’80.

Puro marketing al gusto variegato amarena.

Già.

Un gelato, è quello che ci vuole per rompere il circolo dei pensieri ruminanti. Forse, se lo mangio in fretta, il freddo congelerà un attimo la mia mente che parla, parla, e non smette. Sono intasata dai pensieri ma non importa, in fondo ai miei pensieri c’è l’entrata alla caverna di Alì Baba, ma non sono sicura che basti dire “apriti sesamo”, non in questo periodo.

” Ok, vorrei  Vipera e Curry”. L’ho detto già che oggi sono al posto giusto?

Dejà vu.

…………

Anche oggi parcheggio al solito posto. Un po’ per scaramanzia, un po’ per che culo! [lat. cūlus], la giornata mi appare subito migliore. Raggiungo la mia squadra e intavoliamo la solita kermesse pre-impegni quotidiani con la bonaria irrisione delle scarpe dei passanti.

Oggi siamo invitati a partecipare al Life Coaching  Un viaggio di esplorazione e di buchiscoperta, lavorando sul cambiamento.  Siamo HiPo (High Potential). Eccola, la vedo in lontananza, arriva Lei, la Coach Professionista.

Maria Laura: “Ma quanti anni ha?” – Paolo:” Carinaaaaa…” – Manuel:” Dovrebbero organizzarli più spesso questi incontri” – IO: non pervenuta.

Siamo seduti da 30 minuti. La mia attenzione sta scemando, forse perché è un dejà vu, forse perché “la professionista che facilita i processi di cambiamento dell’individuo“, sta parlando, parlando, parlando, senza arrivare da nessuna parte. Un po’ come remare in canotto controcorrente. Mi fa quasi tenerezza se non fosse che AVREI DA FARE.

Sfida. Ora parla di Sfida: “…il coach propone metodi, strategie e strumenti, assegna compiti, azioni e cambiamenti per raggiungere lo scopo prefissato…”

Eccoci. Forse ci siamo. A chi tocca fare questo? A chi tocca fare quello? E quell’altro?

“I “vorrei” si trasformeranno in “voglio”! Abbattete le Resistenze personali!”           …………………………………………………………………………………………………….

La mia autostima vuole un caffè. CAFFE’! Il mio Regno per un Caffè, LUNGO! Che ne dici? Non voglio una risposta immediata, ti invito a riflettere.

F.to  HiPo Bibidi Bobidi Bu

Cannato, sballato, scimmiato

Rumore di vetri rotti. Una bottiglia lanciata contro la fontana va in pezzi, un suono acuto che si confonde negli schizzi d’acqua. E’ notte fonda, sono quasi le tre e le voci dei ragazzi sono come versi di animali agitati, persi. Alcuni gridano, altri cantano e ridono, sicuramente qualcuno sta vomitando.

Scosto un po’ la persiana e vedo le loro teste nelle ombre lunghe dei lampioni, una coppia  sta litigando e gli altri sono appoggiati al muro. Hanno bevuto, tanto. Non c’è gioia nelle risate, i discorsi si fanno pesanti e concitati, qualcuno si agita. Una ragazza si sente male, non respira o forse è solo svenuta. Si forma un cerchio intorno a lei, ora è distesa a terra e qualcuno grida aiuto, spaventato.

Luci che si accendono, come tanti occhi che si spalancano nel buio e altre persiane si scostano. Qualcuno ha già avvisato la Polizia perché arriva subito una volante e dopo poco un’ambulanza. Caricano la ragazza e partono. Restano due poliziotti e il gruppo di ragazzi che cominciano a svuotare le tasche, qualcuno piange, uno sta telefonando. I poliziotti prendono i documenti, fanno domande, guardano le bottiglie a terra.

Sul muro di fronte il lampeggiante proietta figure aliene che si muovono tra i gerani appesi ai  balconi, incorniciate dall’edera e dalle crepe. Un film, muto.

 

Ti insulto, ma con garbo

” Non sta recitando, no? Lei è davvero così sgradevole? ”  Anche oggi purtroppo ho incrociato un modello base di essere umano, dotato solo di un corpo in movimento, senza grazia e sensibilità.

Sono certa di non essere la sola a incappare in esemplari maleducati, spesso corredati da ogni tipo di gadget anche se li vedrei bene solo con una clava. Sarà un Virus? Una forma infettante che, come un programma pirata, altera i comportamenti degli umani? Siamo sotto attacco del parassita arrogante?

Altrimenti non si spiega perché entri in certi negozi sorridente, salutando, e vieni accolta dalla mummia Ötzi, un po’ seccata, che biascicante ti chiede “lapossoaiutare?”  Mi verrebbe da rispondere NO, per favore LEI NO.

Quando poi ignorano o offendono gli anziani, allora il CAPITAN HARLOCK che è in me splende di luce propria, disposto a memorabili duelli dialettici per arginare gli alieni ignoranti.

Difficile difendersi, impossibile ignorare,quindi mi rendo conto di poter apparire snob, ma ACCANTO (a me) è un posto per pochi.

Scrivendo sul WEB…

C’è FAME di lavoro. Mi è capitato di leggere questo annuncio:

Cerchiamo articolisti e blogger per stesura articoli su prodotti moda da pubblicare sul blog di un e-commerce. Cerchiamo amanti della scrittura e della moda, che scrivano da casa e inviino i loro articoli per la pubblicazione. Non è prevista retribuzione. Contattateci se interessati.”

Mi ha riportato agli anni ’90, quando a Roma, agli inizi, scrivevo GRATIS per una agenzia di stampa con succursale a New York. Stavo facendo praticantato, volevo prepararmi all’esame da pubblicista ed ero grata, felice direi, di questa opportunità.

Ricordo ore in fila per accedere a conferenze stampa ed eventi. Sì, ricordo bene le scarpe piene di piedi per il troppo camminare, lo stomaco aggrovigliato per la sete e gli assalti ai buffet da parte dei mostri sacri accreditati, gli unici a rientrare alla base con i gadget, i libri e gli inviti alle serate. Alcuni, già famosi scribacchini, erano davvero un pessimo esempio di etica professionale, ma avevano la coscienza pulita. Mai usata.

Prima di riuscire a pubblicare un articoletto di costume retribuito  e firmato col mio acronimo, è passato davvero molto tempo e molte nottate in tipografia a correggere le bozze. Rientravo a casa alle tre di notte, seguita dagli sguardi di disapprovazione del tassista di turno.

Tornando all’annuncio…

…se qualcuno vuole diventare giornalista pubblicista scrivendo sul WEB, lo invito a informarsi BENE prima.@–@

Il modo migliore di imporre un’idea a qualcuno, è fargli credere che sia sua (A.Daudet)

Guanti di velluto

E’ domenica. Una domenica piovosa di maggio, i colori degli alberi, delle case sembrano sfuocati e mi sono vestita come a novembre. Caldo a parte, sono felice di essere seduta in un caffè semi-deserto, con una mia amica, di quelle con la A maiuscola. Momenti preziosi e felici come una cucchiaiata di cioccolata calda con panna.

 

La mia amica è una donna-alfa, suo malgrado. La donna-alfa, come l’uomo-alfa,  possiede un carisma naturale, ma in più è dotata di svariate attitudini. Mi riferisco a capacità artistiche, manualità sorprendente, sensibilità a doppio senso, indole da leader con guanto di velluto, anzi guanti, due (lo stile innanzitutto.)

Niente a che vedere col “talento naturale allo stiro e alle faccende domestiche”, riconosciuto a tutte. Come un master.

Che altro? Se tralasciamo l’invidia verde acido che ogni donna-alfa suscita indistintamente in uomini e donne standard, direi che rimane l’aura brillante che la avvolge.

Ecco, la guardo e sorrido. Chi ha carattere fa rumore. Anche in silenzio.

Occhio, il mondo pullula di fake. 

Avere naso (anche se chiuso)

Cos’è che ci avvisa dell’arrivo della primavera? Lo starnuto. Una fisiologica e naturale conseguenza respiratoria che fa da colonna sonora al vento tiepido di questa meravigliosa stagione. Raffreddori tardivi a parte, le riniti causate dai pollini sono una vera tragedia per chi ne soffre e una tortura per chi frequenta questi ultimi, io nella fattispecie.

Non si può nemmeno pensare di godersi una passeggiata in un ombroso boschetto, non è concesso spalancare le finestre, frequentare parchi, uscire in caso di forte vento e mi sto trasformando in Barbie-contadina a forza di tagliare l’erba, raccogliere foglie, eliminare erbacce.

PARE che, in questo periodo dell’anno, si debba evitare anche di asciugare i panni all’esterno. Un’ode all’asciugatrice.

Lamenti a parte, solo chi convive con tali problemi sa che ha da passà questo periodo e non si scandalizza di fronte a nasi rosso porpora, gocciolanti e perennemente tappati. A questo proposito, dedicherei un particolare encomio agli inventori dei fazzoletti di carta, specie se riciclata, sinonimo di progresso evolutivo. I meravigliosi fazzoletti in stoffa, i mouchoirs adorabili, morbidi e profumati, non reggerebbero questi attacchi.

Volendo (anche no) affrontare il penoso argomento dell’educazione dei soffiatori compulsivi nei luoghi pubblici, la mia lunga esperienza in materia potrebbe tradursi in un utile pamphlet da autodifesa:

  1. non avere paura, sei solo nel posto sbagliato al momento sbagliato
  2. il soffiatore non lo fa apposta
  3. cerca un giapponese raffreddato e fatti prestare una mascherina (lui non capirà ma non importa)
  4.  prima che starnutisca, a scelta, puoi effettuare una torsione del busto di 90 gradi o frapporre il vicino tra te e il soffiatore

Insomma, sopravvivere al periodo delle Gimnosperme e Angiosperme, cioè al trasferimento di polline dalle antere di un fiore allo stigma dello stesso fiore o di un altro fiore (cit.Treccani)… SI PUO’ FARE!

“Ti quoto”

Un’immagine vale più di mille parole. Vero. Ma quando le parole, meglio se poche, lasciano il segno, è una lotta tra titani. Le parole sono importanti, conoscere il loro significato aiuta ad evitare gaffe e problemi. Se avessi scritto totani e non titani avrei ottenuto un risultato differente, una zuppa di pesce.

“Gli angeli nel cielo parlano italiano”, fa dire Thomas Mann in Confessioni del Cavaliere d’Industria. L’italiano è una lingua bellissima, complessa e in continua evoluzione: TV, Pubblicità, Marketing, Quotidiani e (ebbene sì) i Blog sono tutti terreni fertilissimi, in cui si generano continuamente nuove espressioni: Spesometro, Esodati, Briffato, Skillato, Linkare, Loggarsi, Aristo-Pop, Uplodare, Mediagenico... I neologismi sono anarchici, le parole si autogenerano, si diffondono viralmente entrando a far parte del lessico di una lingua.

Poi esistono deviazioni come l’espressione ” Ti quoto” che nei forum si usa spessissimo per indicare che si sta”citando” quella risposta. Ma il verbo Quotare in italiano significa misurare, stimare nel senso di valutare. Non è dunque  inglese (I quote you) né  italiano (ti valuto). E’ così e basta.

Espressioni come “In buona sostanza…” sono defunte o in procinto di. Quell’allure romantica che rimandava a scene di nobili combattimenti verbali, lascia il passo a duelli rusticani tra tips, trends e tronisti. Soprattutto al suono di “CORTO E’ BELLO” nascono acronimi o abbreviazioni  usa e getta: Pelfie (selfie con un pet),  Bae ( la persona più importante per te – Before Anyone Else), Ship ( Relationship)…

Anche se personalmente adoro “Mi punge vaghezza” 😉

HAVE A LOOK

non possiamo non ASCOLTARE e LEGGERE i segnali delle nuove intelligenze digitali.

E mentre annusiamo le tracce lasciate da menti selvagge, libere nel vortice della fantasia, inorridendo quando ci scontriamo con coniugazioni verbali inesistenti o aberranti, lo studio della lingua italiana si espande in tutti i paesi del mondo:“Learn the language of your nonni!” (UCLA)

La lingua degli angeli, nonostante tutto, vola alta.

In-videre.

“Complimenti cara!!!” Occhio, malocchio… gli occhi non mentono. Quando il suono dei complimenti non è in sincrono con la luce degli occhi possiamo difenderci optando, a scelta, tra un gesto scaramantico dei più tradizionali o un rito woodo.

A volte si tratta di fronteggiare la semplice falsità, qualche volta siamo alla gogna dell’invidia. Perché?Perché siamo umani, deboli, a volte orribili, e ci piace il colore verde, noto colore dell’invidia, meglio se tendente all’acido.

Quindi anche se tutto, ogni cosa, vuole essere amata, capita che non ci riusciamo e visto che non possiamo invidiare un criceto, invidiamo gli altri esseri della nostra specie.
invidia, invidia, invidia,invidia,invidia,invidia, invidia, invidia, invidia,invidia, invidia, invidia  
Direi che è la reazione opposta a quanto avviene con le affinità elettive, “dove affini sono quelle nature che incontrandosi subito si compenetrano e si determinano reciprocamente”.
(cit. J. W. G.)
Con l’invidioso invece nessun amalgama o immedesimazione, come se si tentasse di mescolare l’olio e l’acqua. Piuttosto si fanno paragoni, si “guarda storto” (in-videre, lat.), macerandosi nella certezza che l’altro sia MEGLIO.
Vade retro. E’ sempre colpa degli altri, siamo sempre vittime? E se fossimo le cause?
invidia, invidia, invidia,invidia,invidia,invidia, invidia, invidia, invidia,invidia, invidia, invidia 
Mi piace pensare che sia possibile e ci provo.
invidia, invidia, invidia,invidia,invidia,invidia, invidia, invidia, invidia,invidia, invidia, invidia 
Allora, ” Tu, maledetta che sculetti su quei tacchi come se ci fossi nata e te ne vai senza neanche salutare mentre tutti ti guardano sognanti, sappi che NON ti invidio per niente.
NON invidio la tua bellissima età, NON invidio i tuoi successi professionali arrivati così in fretta,
NON invidio…”
invidia, invidia, invidia,invidia,invidia,invidia, invidia, invidia, invidia,invidia, invidia, invidia  
NON ce la posso fare.
NON è vero.
 invidia, invidia, invidia,invidia,invidia,invidia, invidia, invidia, invidia,invidia, invidia, invidia 
Perdoniamoci.
E chiediamo scusa a noi stessi per aver creduto di non essere abbastanza.

Quante volte figliolo?

Vai a prostitute? Mi sono imbattuta in un sito che cercava risposte alla  domanda “PERCHE’ gli uomini vanno a prostitute?”

In questa inchiesta ho letto molte motivazioni che portano a scegliere il sesso a pagamento, tutte derivate da esperienze diverse e con un comune denominatore: un uomo ha il sesso in testa tutto il giorno, tutti i giorni, le donne no. (!?!)

Sembra infatti che in Internet si facciano più ricerche sulle Escort  che sui film in programma al cinema tant’è vero che l’autore del blog afferma che  “le Prostitute sono così tante e così popolari da rendere impossibile qualsiasi tentativo di ignorarne la funzione o rifiutarne l’esistenza. Il mestiere più antico del mondo è qui per restare e penso che sia legittimo e doveroso accettarlo come parte integrante della nostra comunità.

La prostituzione come Risposta sociale a tutte le pulsioni che non trovano spazio altrove.

Detto ciò, evviva la libertà, ma, proprio per questo, mi ha addolorato leggere solo UNA risposta che, pur cercando scuse nell’esporre le motivazioni personali, ha  lambito il terribile tema delle schiave del sesso.

Da quello che ho letto nel blog, tutti, ma proprio tutti quei frequentatori di sesso a pagamento erano certi di andare con donne consenzienti.

D’accordo, ma le SCHIAVE? Vogliamo parlare di quel tedioso problema che sfiora le nostre coscienze intente a guidare verso casa, la sera, sfrecciando di fianco a signorine barcollanti su tacchi improbabili con le chiappe al vento? O peggio ancora di tutte quelle che non vedremo mai, le cui storie riempiono una serata in televisione, argomento scomodo e crudele, con testimonianze vere, storie di attuali sadismi  e atrocità?

Coloro che vanno a prostitute diranno che non è affar loro, perché   loro rispettano le donne (mogli e fidanzate a parte), non le picchiano e non le costringono. E aggiungeranno che le signorine in questione lo fanno volontariamente e guadagnano anche molto bene.

Per poi ripiombare nel dualismo mantenuta/prostituta, ed appioppare la Colpa alla donna, che non capisce, che non vuole, che pretende, che castra, perché la prostituzione è inversamente proporzionale all’amore.

Ho viaggiato e vissuto molto all’estero, direi tutta la vita, e non sono una bacchettona borghese, forse borghese, ma bacchettona no. Detesto solo chi nasconde le proprie debolezze, insicurezze e fallimenti, nel “cicchetto fatto di nascosto”, quasi l’andare in cerca di sesso a pagamento fosse una marachella segreta tra te e me, eterni bambini che non fronteggiano l’adulto che sono diventati nel frattempo, perché tutti si cresce ma alcuni invecchiano solamente.

Horror vacui.

Il giorno più bello

E’ un bellissimo matrimonio. Io Amo i matrimoni, li adoro. Quasi tutti. Mi piacciono l’atmosfera, i confetti, i fotografi sempre tra i piedi e gli invitati.

Potrei stare ore (e in effetti è quello che succede) a guardare il look degli invitati. Non mancano mai almeno due signore/ine in lungo anche se si celebra a mezzogiorno, a volte appaiono cappellini da Reali d’Inghilterra anche per le nozze “de Gasperino er carbonaro”, e tutti, ma proprio tutti, siamo in lizza per i posti a sedere in romantiche minuscole chiesette che neanche a Lilliput.

Purtroppo, quasi sempre, al termine della Cerimonia, il riso non si può più lanciare. Sembra che finisca per sempre sul selciato, creando coltivazioni selvagge difficili da debellare. Ci aspetta quindi un tripudio di petali, piume, maxi coriandoli e farfalle, un Circo Togni mai visto.

Poi arriva il momento del tragitto fino al luogo prescelto per il Ricevimento.

……………………………………………….  …………. ……… ……..

Tempo stimato, solo un’ora e trenta, un’ora e quaranta al massimo.

Ma ne vale la pena. Quando arrivi, ti accolgono subito con un calice di Champagne, quasi avessi vinto il Giro d’Italia, ben consapevoli della difficoltà che hai avuto nel decifrare quella maledetta micro-cartina-mappa annessa all’invito.

E’ magico. Tutto un tulle, candele e baci. Purtroppo a volte mancano solo gli Sposi, stanno facendo le foto romantiche su tutti, ma proprio tutti, i monumenti, ponti, fontane della città. Arriveranno un attimo prima che gli invitati, ormai ebbri di aperitivi e vino, comincino ad intonare cori alpini.

L’amore, come la pazienza, vince su tutto.

Il Pargolo

Sono al ristorante, si festeggia un pre-compleanno. Non chiedetemi cos’è, sta di fatto che mi è toccato comprare un regalo due settimane prima della festa in questione.

Appena entrata, è bastata una rapida occhiata al parterre per realizzare che sarebbe stata una di quelle giornate infinite. Le coppie invitate dalla festeggiata, con pargoli annessi, stavano già monopolizzando lo spazio con passeggini, cappottini, giochini.

Ora, non ho esperienza in merito da condividere perché PURTROPPO nella mia vita evidentemente i bimbi non erano previsti, ma meno male che non ho avuto nessun serial-killer, agito-passivo, autolesionista, in sorte.

A difesa di tutti quei genitori che combattono tra lavoro, casa, scuola, emergenze varie, mi pare di capire che non esiste una equazione esatta tra  educazione in famiglia e educazione civica. E i bambini sono bambini.

Ma oggi vorrei analizzare il maledetto Pargolo. Pargolo nell’accezione di infante, imperfetto, immaturo.

Quand’è successo che abbiamo perso il controllo sui Pargoli?

Mentre sto seduta in un angolo, valutando strategicamente come meglio difendermi dal lancio di panini dei Pargoli, incrocio lo sguardo di tre mamme, due neo papà e il gestore del Ristorante. Nell’ordine:

  1. le mamme in trance a fissare estasiate i piccoli mostri
  2. i neo papà, probabilmemte sedati, che imbracciano biberon, merendine e videogiochi
  3. il gestore che è in balia degli eventi e pensa a quanto è difficile guadagnarsi da vivere

Quest’ultimo è infatti consapevole che il suo ristorante, perderà in brevissimo tempo la sua connotazione  per trasformarsi nel palcoscenico dei fanciulli. A niente varranno le occhiate imploranti fatte alle madri in trance, perché i Pargoli sono i veri protagonisti.

Mio malgrado quindi, mi preparo ad ascoltare pietose canzoncine, intervallate dalla lettura del temino in classe e da passi di danza. Se tutto ciò durasse pochi minuti, se il tempo dedicato all’ego smisurato dei Pargoli fosse limitato a sollazzare la vanità dei genitori, saremmo anche divertiti dalle loro gesta, a volte davvero sorprendenti.

Il problema è capire quando abbiamo scambiato le manifestazioni del Pargolo, come lo schiaffo all’adulto, in una affermazione di autonomia, le urla disperate a terra da sindrome di Ganser, in delicatissimi momenti di asserzione  della personalità.  E se tu (non madre ovviamente) sollevi il sopracciglio in un moto di impazienza, preparati a scontrarti col disprezzo e la commiserazione delle madri in trance.

Poi penso ai miei nipoti, che sorprendentemente hanno una testa, due braccia e due gambe, come la maggior parte, e che invece ancora chiedono se possono…

Ma loro sono bambini.

Roar

Ma cos’è? Una immagine che sovrasta la scrivania e riempie la parete, una Tigre, bellissima, mi fissa dal poster gigante.

Forse l’impiegata che mi sta guardando come se avessi interrotto l’esecuzione di un’Opera alla Scala, spera di essere protetta da tale feroce immagine e che nessuno si avvicini senza permesso. Mi dispiace, sono già nella stanza.

Lei si alza dalla sedia, lancia uno sguardo bistrato alla porta da dove sono appena entrata.

Ho chiesto permesso, giuro. Parla con la vicina di scrivania, forse una battuta, ma non afferro. Poi si siede e prende dei fogli, me li porge, e recita in un minuto l’equivalente di un manuale di istruzioni su come compilare i suddetti formulari. Mi congeda come una esausta insegnante di sostegno.

Lei e la collega si alzano in sincrono e parlando ad alta voce se ne vanno. Rimane l’eco dei loro tacchi un po’ strascicati e quel poster con la Giungla assolata, deserta, con la Tigre, immobile.

Sinonimi di Selvaggio [sel-vàg-gio] agg., s. (pl.m. -gi, f. -ge) : inospitale, poco socievole, disabitato.

Roar.

Calore umano

Mattinata in Posta.

“E’ in fila?” Mi chiede la signora bionda.

“Sì “.  E’ la mia risposta.

” No, mi piace l’odore di chiuso e ascelle”.  E’ la risposta muta del mio ego sarcastico che scalpita guardando le 15 persone prima di me.

angel-vectorizedSono arrivata da pochi minuti ma per qualche inesplicabile motivo, durante le attese, il tempo si dilata. Come se passassimo in un’altra dimensione: 5 minuti in fila alla Posta = 20 minuti di vita sulla Terra.

Per questo, prima si consiglia di:

  1. fare colazione
  2. andare in bagno
  3. assicurarsi che il cellulare sia carico

La signora anziana davanti a me comincia ad accusare una certa stanchezza. Scatta il lamento che, come l’ebola, si propaga e contagia la fila di fianco. Nonostante le cuffiette mi isolino, posso leggere inequivocabili piagnucolii dalle labbra dei vicini. La signora che non trova in me terreno fertile alla polemica mi ignora sventolando un bollettino spazientita.

Ma è il suo turno.

L’addetta allo sportello impassibile effettua l’operazione e passa oltre. Una freddezza da spia sotto copertura, una tecnica di sopravvivenza probabilmente perfezionata con l’esperienza.

Tocca a me. Fatto.

Efficace ma un tantino asettica. Eppure il calore umano si può trasmettere anche solo con una parola.

<Prossimooo!>