Guardare l’abisso

Un rigagnolo d’acqua scivolava via, esattamente come un gorgo d’acqua nel lavandino. Un vortice che, anche se piccolo, portava via inesorabilmente, e quasi dolcemente, tutto. E per tutto, intendeva quella che era stata la sua vita fino a quel momento.

“Siamo spiacenti, non vorremmo fare a meno della sua figura professionale ma, la situazione contingente prevede una riorganizzazione aziendale.”

Pur essendo consapevole della crisi, pur constatando, giorno dopo giorno, un crescendo di tensione tra i colleghi che le apparivano sempre più scialbi, affranti, pallidi fino a diventare quasi evanescenti, non si era resa conto di essere a rischio, esattamente come gli altri. Ma quanta sicurezza! Quanta stupida certezza aveva maturato, semplicemente per aver lavorato in quell’azienda per oltre vent’anni. Riorganizzazione.

Fissava il suo caffè sul tavolino del bar dove andava spesso, e osservava le persone intorno, ignare del suo problema, di lei e della sua vita miseramente crollata. Poteva pensare a un fallimento o le era concesso di aggrapparsi alle colpe altrui? Da quando si era svegliata, la sua testa era una bolla grigia, come una pozza di fango bollente. Il mondo non era come lo aveva immaginato fino a quella fatidica comunicazione. La sua tracotanza ora cercava conferme che nessuno mai le avrebbe dato. Le sembrava di tremare, non riusciva a piangere, sicuramente non lì, mai lo avrebbe fatto. Il quadro della sua vita stava perdendo i contorni, liquefacendosi in un disegno astratto ma senza significato.

Passò una mamma con due bambini, diretta ad un altro tavolino. Rimase a fissare la scena, mentre arrivava il papà. E lei invece? Lei che aveva investito così tanto in sé stessa, lei che aveva creduto di far parte di qualcosa, ora si sentiva come un vecchio attrezzo, gettato via, rimpiazzato. Il quadro della sua vita, ora, era un ammasso di colori mischiati, come senape andata a male.

Il mondo va veloce, troppo. Non aveva avuto il tempo di pensare, ecco la verità. D’altra parte, pensare di cambiare dopo tutti quegli sforzi, quell’energia spesa, sarebbe stato, come minimo, un passo azzardato. Perché cambiare quando sai che, alla fine, qualcuno risolverà? Ne era certa.

Non esistono più certezze. I suoi genitori avevano cominciato e finito la loro carriera lavorativa sempre nella stessa azienda. Solo suo padre, a un certo punto, aveva inseguito una promozione ma, c’erano dei rischi, avrebbe dovuto cambiare città e quindi, alla fine, erano rimasti dov’erano. In fondo stavano bene, cosa mancava?

A cosa mi aggrappo adesso? Sono stanca. Ricominciare ora è come chiedermi di scalare l’Everest senza ossigeno. Mi manca l’aria.

Nella sua mente, il quadro della sua vita era ormai una tavola uniforme e vuota. Il rigagnolo continuava a scivolare tra le crepe dell’asfalto, veloce, diretto allo scarico, senza fare alcun rumore.

Leader

La rabbia è un dolore travestito da forza. Quella rabbia che le stava facendo male, che le triturava le viscere e che non sapeva come sfogare. Pensava a come era arrivata a quel punto, dove aveva sbagliato, non c’era spazio per altro nella mente.

Questo è il mio momento, ci sono io qui. A questo ho puntato lavorando tanto, esponendomi, uscendo dall’ufficio per ultima. Come ho potuto lavorare con il nemico senza accorgermene? E adesso, che dovrò parlare davanti a tutti, di un progetto che non è il mio, raccontare una storia che non mi appartiene, rischio di fare una figura pessima.

La sala era gremita, la convention annuale era un punto di arrivo, i dirigenti erano là, impegnati in pubbliche relazioni e sorrisi, scambi di business card. Lei era tesa, vibrava come un violino con le corde di un calibro sbagliato e, quelle corde, sapeva benissimo chi gliele aveva cambiate. Proprio quell’esserino apparentemente innocuo che se ne stava seduto in prima fila, che sfuggiva il suo sguardo ma che sembrava aspettare. Pensava di essere l’unica via di salvezza, lui che aveva cambiato le carte in tavola, lui che aveva sostituito il progetto all’ultimo momento con la sua versione. Ed era in una chiavetta usb, pronta, scaricata e sparita.

Il Direttore era all’oscuro, guai a far esplodere questo bubbone. Non hai il controllo sulla squadra, non sei stata pragmatica, non sei una leader.

A quanto pare no, a quanto pare sono una che si fida, non so se abbia un valore oggi, forse no. Ma col cavolo che rinuncio alla presentazione. Non potrà discostarsi poi tanto dall’originale. Vado a braccio, lo so fare.

Tocca a me. Faccia da poker. Poi penserò a te che adesso non mi sembri più neanche così pericoloso. Guardami, sto entrando in scena. Guardami e impara.

🐬

Arrivare.

Questa volta, andare al lavoro non avrebbe avuto il solito saporaccio amaro, stomachevole. Non avrebbe dovuto, come sempre fino ad allora, ingoiare spinose battute, vomitare grasse risate di circostanza, staccare con pazienza filamenti di false lusinghe. No, quel giorno se lo aspettava lieve, senza nessuna afflizione, e che scivolasse come un’ostrica in gola.

Contemplò il nuovo ufficio, la targhetta all’esterno col suo nome. Il SUO nome. Il cuore pulsava una marcia trionfale, le sembrava anche di essere più alta.

<Congratulazioni!>

Vibrazioni negative, dietro di lei. Ma, voltandosi, dalla sua nuova altezza, le parve di vedere quella che un tempo era stata una collega. Le pareva più brutta, e anche un po’ sciatta.

Ringraziò sorridendo e, sentendosi come Alice che aveva appena bevuto dalla bottiglietta, le sembrò di diventare enorme, rimanendo a fissare quella figura che velocemente rimpiccioliva sotto di lei.

Strani scherzi della mente. Mania di grandezza? Narcisismo esplosivo? Fece una spaventosa frenata col cuore.

Entrando nel SUO ufficio fu colta da una sorta di senso di colpa, accompagnato da una gelida solitudine. “La solitudine del leader “, sussurrò.

Tutto, là dentro, dalla scrivania al tavolo tondo con quattro sedie, parlava di nuove responsabilità, di risultati attesi. Ma non doveva sentirsi raggiante?

Non sapeva ancora come giudicare le sue reazioni.

Prima male, poi bene, poi accese il computer.

Sovrappopolamento e Universo 25

Siamo in tanti. Più di 8 miliardi di persone su questo pianeta, e ci stiamo già stretti. La rabbia, le rivolte, le tensioni incontrollate che stanno aumentando e di cui leggiamo o ascoltiamo, sono sicuramente scatenate da problemi irrisolti o troppo spesso ignorati ma, alla base di tutto questo, volendo analizzare il contesto, non credete che la sovrappopolazione umana sia spesso il detonatore di tanta violenza?

Nel 1968, lo scienziato John Calhoun, fece un esperimento, Universo 25, proprio per verificare, con i topi, come potesse incidere l’aumento della popolazione nell’evoluzione del comportamento.

Ebbene, lo scienziato aveva predisposto una situazione di benessere per non creare stress, in cui la comunità di topi viveva serenamente, in uno spazio adeguato, senza nessun predatore, con cibo in abbondanza e nessuna preoccupazione.

Nel giro di un anno e mezzo, lo spazio destinato era affollato al punto che gli atteggiamenti dei topi erano cambiati, esprimendo violenza, cannibalismo (anche se non mancava il cibo), pansessualismo. Non mancava il sostentamento, gli spazi erano ridotti ma, soprattutto, essendo in tanti, erano venuti a mancare i ruoli sociali per tutti. Solo chi si isolava non veniva coinvolto.

In pochi anni, oltre al crollo delle nascite, si assistette all’annientamento dell’intera colonia, fino all’ultimo topo.

John Calhoun era giunto alla conclusione che, non importa quanto l’uomo pensi di essere sofisticato, quando mancano i ruoli sociali da impiegare per tutti, il sistema collassa.

Le ultime proiezioni della Nazioni Unite prevedono il raggiungimento di un picco di circa 10,4 miliardi di persone intorno al 2080.

Fondamentalmente è la ricerca di lavoro che spinge a concentrarsi nei centri urbani, più o meno grandi, ed è già una lotta, in macchina, nelle metropolitane, autobus, treni, nei condomini. La mancanza di lavoro e quindi di un ruolo sociale, fa il resto.

Io, rimango positiva sulle capacità dell’essere umano di adattarsi ai nuovi scenari. Certo, i cambiamenti non si accettano mai volentieri, si è spaventati, ma l’evoluzione, l’utilizzo delle tecnologie digitali in questa nuova economia globale, devono puntare al miglioramento della qualità della vita.

Dipende da noi.

Dipende da noi essere parte attiva, avere il coraggio di spostarsi, di cambiare, di accettare il diverso e modificare, se necessario, il proprio stile di vita.

Lo spazio c’è, tolte l’Asia e l’Africa, che totalizzano più di 6 miliardi di abitanti, nel resto del pianeta c’è spazio, per tutti. Nessuno ha mai pensato di andare in Oceania o in Polinesia? Un proverbio polinesiano la dice lunga: “C’è un tempo per essere albero e un tempo per essere piroga”, entrambi dela stessa materia, ma uno sedentario, l’altro in movimento.

Io ho viaggiato e vissuto all’estero quasi due terzi della mia vita. Sono scelte, a volte è difficile lasciare il certo per l’incerto ma tutto sta nella motivazione e nell’essere pronti ad affrontare l’incognito. C’è spazio, per gli essere umani e, soprattutto, per allargare la mente, ascoltare e imparare.

“Rivolgi il tuo viso verso il sole, le ombre resteranno alle tue spalle”. (Insieme ai topi).


foto di goashape – unsplah

Scrivendo sul WEB…

C’è FAME di lavoro. Mi è capitato di leggere questo annuncio:

Cerchiamo articolisti e blogger per stesura articoli su prodotti moda da pubblicare sul blog di un e-commerce. Cerchiamo amanti della scrittura e della moda, che scrivano da casa e inviino i loro articoli per la pubblicazione. Non è prevista retribuzione. Contattateci se interessati.”

Mi ha riportato agli anni ’90, quando a Roma, agli inizi, scrivevo GRATIS per una agenzia di stampa con succursale a New York. Stavo facendo praticantato, volevo prepararmi all’esame da pubblicista ed ero grata, felice direi, di questa opportunità.

Ricordo ore in fila per accedere a conferenze stampa ed eventi. Sì, ricordo bene le scarpe piene di piedi per il troppo camminare, lo stomaco aggrovigliato per la sete e gli assalti ai buffet da parte dei mostri sacri accreditati, gli unici a rientrare alla base con i gadget, i libri e gli inviti alle serate. Alcuni, già famosi scribacchini, erano davvero un pessimo esempio di etica professionale, ma avevano la coscienza pulita. Mai usata.

Prima di riuscire a pubblicare un articoletto di costume retribuito  e firmato col mio acronimo, è passato davvero molto tempo e molte nottate in tipografia a correggere le bozze. Rientravo a casa alle tre di notte, seguita dagli sguardi di disapprovazione del tassista di turno.

Tornando all’annuncio…

…se qualcuno vuole diventare giornalista pubblicista scrivendo sul WEB, lo invito a informarsi BENE prima.@–@

Il modo migliore di imporre un’idea a qualcuno, è fargli credere che sia sua (A.Daudet)

Bada ben, bada ben…

Paesino di provincia, uno dei tanti sparsi nel Nord Italia. Villette, campi e badanti. Tante badanti.

Qualche tempo fa, le riconoscevi alle fermate degli autobus o in fila con le borse di plastica al mercato, perché camminavano rapidamente, occhi a terra, in jeans e Hogan usate, ereditate da qualche signora durante il cambio stagione nell’armadio. Erano tutte straniere.
Qualcuna era laureata, parlavano minimo tre lingue.
Una vita dura, lontano da casa, risparmiando per la famiglia, per i figli che vedevano solo due o tre volte all’anno dopo 24 ore di tragitto in pulman stracarichi.
Ma ora, se cerchi una badante, ti rispondono ragazze italiane, che stanno studiando o sono semplicemente stanche di aspettare lavori che non si trovano. Tante ragazze che snobbano call  center e contratti a chiamata, che preferiscono essere pagate per quello che, in tempi felici, facevano come volontariato.
La paga è buona, in regola, con contributi e tfr, si lavora 6/8 ore al giorno e spesso comprende vitto e alloggio.
Certo, bisogna avere la pazienza di un monaco tibetano, la forza di un nerboruto e non bisogna essere schizzinose perché cambi di pannolini e lavaggi di anziani richiedono delicatezza e tatto, a volte stomaco di ferro.
Sicuramente non si tratta del lavoro dei sogni, non risponde ai sacrifici fatti in anni di studi e sono sicura che continueranno a cercare di trovare il proprio sbocco, la propria opportunità, ma nell’attesa cercano di mantenersi, di aiutare magri emolumenti familiari o di risparmiare per un progetto.
Ai miei tempi si usava andare au pair all’estero per studiare le lingue e il sacrificio era notevole, pochi soldi per interminabili pomeriggi con nani pestiferi e umiliazioni continue da matrigne stizzose, ma mi è servito. Per undici mesi la prima volta e 1 anno e mezzo la seconda. E due lingue perfezionate.
Quindi, brave ragazze, sono certa che ce la farete. Donne forti, che si sono messe in gioco, che non si vergognano di andare a lavare i piatti in un ristorante, che si spaccano la schiena d’estate a raccogliere pomodori (credo sia una delle attività più pesanti al mondo, seconda solo al taglialegna) e che continuano a scrutare l’orizzonte, a studiare, informarsi e proporsi.
Siate ribelli.😜

Roar

Ma cos’è? Una immagine che sovrasta la scrivania e riempie la parete, una Tigre, bellissima, mi fissa dal poster gigante.

Forse l’impiegata che mi sta guardando come se avessi interrotto l’esecuzione di un’Opera alla Scala, spera di essere protetta da tale feroce immagine e che nessuno si avvicini senza permesso. Mi dispiace, sono già nella stanza.

Lei si alza dalla sedia, lancia uno sguardo bistrato alla porta da dove sono appena entrata.

Ho chiesto permesso, giuro. Parla con la vicina di scrivania, forse una battuta, ma non afferro. Poi si siede e prende dei fogli, me li porge, e recita in un minuto l’equivalente di un manuale di istruzioni su come compilare i suddetti formulari. Mi congeda come una esausta insegnante di sostegno.

Lei e la collega si alzano in sincrono e parlando ad alta voce se ne vanno. Rimane l’eco dei loro tacchi un po’ strascicati e quel poster con la Giungla assolata, deserta, con la Tigre, immobile.

Sinonimi di Selvaggio [sel-vàg-gio] agg., s. (pl.m. -gi, f. -ge) : inospitale, poco socievole, disabitato.

Roar.

YOUNGHITUDINE

E anche ieri ho avuto conferma al mio stato di LIMBOFOLLIA: “To Young to be Old and To Old to be Young”.
Ma come funziona?
Quando avevo 30 anni ero troppo giovane per ricoprire incarichi ed ora cercano solo under 35…
In questa landa affollata, molto affollata, ci guardiamo increduli l’un l’altro.
Chi ha figli trentenni comincia ad osservarli con sospetto. Loro chattano ignari del fatto che i due pezzi da museo (dicesi genitori) navigano su Twitter o Facebook. Per la legge della “Mors tua vita mea”, dovranno fare attenzione alle nuove leve che arrivano spintonando cariche di energia, lauree, master e corsi di formazione.
Una dura lotta a suon di YOUNGHITUDINE che lascia sul campo carcasse di Baby Manager.
D’altra parte, se un romanzo orrido come <50 Sfumature di grigio> sta in cima alle classifiche, è lecito pensare che per tutti sia plausibile l’esistenza di un Megaboiardodelleconomia di (ben) 27 anni.

Occhei vecchie ciabatte. Diamoci una mossa perché qui non si muove foglia.