Abissi

La pesa era là, sotto il mobiletto del bagno. Si era ripromessa di non utilizzarla ogni giorno.

Sei in sovrappeso.

Questa frase rimbalzava dalla sua mente allo specchio, agli occhi di chi incontrava. Camminava cercando il suo riflesso in ogni vetrina, sapendo già che non si sarebbe piaciuta. C’era qualcosa di sbagliato in lei, come un dente rotto, un nervo scoperto. Qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto amare.

Tutte le donne, tutte, erano più belle, perfette.

Tutte.

Camminando verso la palestra, il piumino indossato come un’armatura le conferiva un’andatura goffa, si sentiva gonfia ma protetta.

Oggi, solo un frullato di frutta.

Le barche nel porticciolo sulla destra se ne stavano placide, a mollo, qualche pescatore nel baretto del porto stava parlando ad alta voce. Risate forti, tra dialetti incomprensibili e odore di pesce. Là, dietro quelle vele chiuse, quei motori ancora caldi, c’erano storie da sentire, racconti esagerati in cui perdersi.

L’estate, sognava l’estate, quando si lasciava scivolare nell’acqua fino al collo, al sicuro. E poi, lasciava affondare la testa, rimanendo a galleggiare, con le orecchie come conchiglie in cui il mare bisbigliava. E si sentiva così piccola, tra le onde dolci e l’immensità di un cielo terso, leggera. Magra. Perfetta.

Oggi, l’aspettava la piscina.

Troppo presto per indossare tutine aderenti e affrontare lezioni tra valchirie agili e corpi tonici. E così, nel camerino, si spoglia e rimane in costume, intero, olimpionico e nero. Non ci sono specchi ma vede la sua pelle chiara, quei rotolini che deformano, gli stessi che, da neonata, sua madre le raccontava in continuazione, la facevano paragonare a una immacolata, tonda, mozzarella di bufala. E lei si immaginava mani che la tiravano, contorcevano, raccoglievano, fino a farla diventare una palla, candida, enorme.

Non vorrebbe uscire più.

Rimarrebbe dentro a quel camerino per sempre. Senza specchi, senza nessuno.

Ma fuori c’è silenzio, le lezioni sono cominciate. Indossa l’accappatoio, le ciabattine, e scivolando come un fantasma raggiunge la piscina. Appende l’accappatoio, quei due metri che la separano dall’acqua sembrano una strada in salita. Ed entra in acqua, a candela, sicura di aver prodotto un rumore frastornante, di aver dato fastidio.

Resta sul fondo, guardando le bollicine d’aria salire verso la superficie, dove stanno nuotando corpi snelli, sirene.

Resta sul fondo, a fissare quel mondo che non la vuole. Ci si innamora degli abissi, perché non sono precipizi ma luoghi in cui puoi scrutare dentro di te.

Resta sul fondo.


Foto di Stormseeker da Unsplash