Il corpo è un museo.

Il corpo è un museo e io non ho il biglietto per entrare. Non ho neanche vent’anni e ho già vissuto, tanto. Da quando sono nato ho sentito sempre e solo domande.

Perché volete iscriverlo al liceo?

Perché sorride così?

Perché non può stare fermo?

Diagnosi: Tetraparesi spastica distonica. Non sapevo cosa fosse.

Terapie. Non sapevo cosa fossero.

Fatica, solitudine, dolore. Tre ore al giorno di fisioterapia per imparare a camminare normalmente. Camici bianchi in ospedale. Un lungo viaggio, anche se, il solo posto in cui potevo andare, erano i miei pensieri.

É svogliato.

No, è malato.

I miei genitori, la mia nonna erano le mie uova di Pasqua, la loro anima era la sorpresa più grande.

Sono difettoso, rotto, manca qualche pezzo.

Troppo handicappato per fare il liceo scientifico, ti dicono i prof, in prima superiore, mentre sorella morte continua a bussare all’anima. Io contro tutti, mi diplomo.

Poi arriva Beatrice, inferno e paradiso. Esiste amore senza dolore, esiste dolore senza amore? Voglio vivere e amare. Stare bene. Vorrei un talismano a cui aggrapparmi di tanto in tanto, per non perdermi.

La vita è troppo bella per continuare a viverla così?

Cerco di vivere il presente, non dimentico il passato ma non distolgo lo sguardo dal futuro.

Sorella morte, bussa, bussa quanto vuoi. Il museo, per ora, è chiuso.


Foto da usplash di viktor-forgacs

racconto tratto da una testimonianza su Tik Tok

Sai volare?

Bisogna ridere per volare!” Aveva portato un paio di scarpine verdi, in pannolenci, uguali a quelle di Peter Pan. Avevano visto insieme il film e ad Andrea, era piaciuto tantissimo. In verità, era piaciuto a tutti i bambini. Ora che Andrea aveva ai piedi quelle scarpette e rideva, la stanza era più luminosa, i disegni alle pareti sembravano cartoni animati, le ombre sulla parete diventarono vive.

Da poco erano passati i Patch Adams nel reparto oncologico per bambini. Li aspettavano ogni giorno, aspettavano che i loro nasi rossi sbucassero dalla porta, perché sapevano che avrebbero portato anche dei giocattoli e sarebbe stato un momento normale. Tutti quei tubicini e quei rumori sinistri, i macchinari freddi e le nausee, quella stanza tanto diversa dalla loro cameretta, tutto veniva inghiottito dal gioco. Quando c’erano i medici, lei si metteva in disparte, lasciava che i bambini venissero inondati da scherzi e storielle, rimaneva a guardare quelle piccole teste glabre, dagli occhi enormi, muoversi prima con timidezza, poi saltellare sui letti, non tutti.

Andrea non poteva saltellare, non più, era allo stadio terminale. Ma rideva, forte, anche se gli faceva male la testa, e guardava la sua mamma e il suo papà, quasi volesse possederli. Ora aveva un super-potere! Delle magiche scarpette verdi, e con le manine sui fianchi, tentava di mettersi a sedere. I suoi correvano ad aiutarlo, ma lui, li fermava, dicendo che ci riusciva da solo, e sorrideva, sorrideva, sorrideva.

“Quando sarò andato nell’isola che non c’è, puoi dare le mie scarpette a Eleonora? Vuole venirci anche lei. E tu? Ci sei mai stata?”

“Certo! É talmente bello che non smetterai di ridere un secondo!”

“Ma tu non sai volare! Se vuoi, te le presto…”

Rimase un momento senza fiato, ma Andrea stava sorridendo, e sorrise anche lei.


Dedicato ai Patch Adams…