Governare la passione

Le era sempre piaciuto passeggiare sulla banchina, tra lo sciabordio dell’acqua e i rumori cantilenanti delle barche ormeggiate. Nelle giornate ventose il porto diventava un luogo sospeso tra suoni, odori e lunghi respiri. Si sedette al bar, sul pontile coperto, davanti a un cielo stropicciato. Il vento arrivava a raffiche, a volte così forti da far tremare le assi un po’ sconnesse, interrompendo il silenzio, come certe litanie che non puoi fermare. Ascolti. E lei ascoltava, e osservava lontano.

Il mare aperto fa paura.

Le sartie delle barche vibravano come corde di violino tirate dal vento. Ogni tanto gli scafi cozzavano tra loro con un suono legnoso, sordo, quasi animale, e le boe gemevano, trattenute a fatica. Inspirò a fondo l’aria che sapeva di sale, alghe e gasolio. In lontananza, minuscola, una barca a vela appariva e spariva dietro il respiro gonfio delle onde. Là in fondo, c’era il suo amore, su quell’imbarcazione che sembrava un modellino in una bottiglia, con le vele spiegate. Ma non era immobile, era viva.

Lo sapeva, la passione era così: come quella tempesta. Ti trascina, ti solleva, ti acceca. È infuocata per un attimo, e poi ti lascia nuda, ebbra di umori, senza più appigli. La governi, credi, ma è lei che gioca con te.

A riva le onde non spumeggiavano, smorzate da una cappa di umidità che tagliava il fiato, ma laggiù, al largo, il vento stava crescendo e la barca rallentava. Le vele, prima gonfie come muscoli in tensione, si stavano afflosciando come petali bagnati, piegate per non cedere alla furia.

* “Ma c’è’n che da n’tuffa!”, gridò un vecchio pescatore, seduto su una bitta, indicando la barca lontana. La sua voce si perse tra le altre, tra i mugugni e le risate rauche di chi il mare lo conosceva troppo bene per fidarsi. Il loro dialetto si fondeva con i cigolii del legno e il lamento delle cime tese, come un coro stanco e saggio.

Un raggio di sole, improvviso, squarciò le nuvole e colpì il veliero. Un occhio di bue, perfetto. Tutto sembrò fermarsi: il mare, il vento, anche i mugugni dei vecchi. Un quadro. Le sembrava proprio un quadro.

Le onde si facevano più alte, più cattive, e lei si alzò in piedi per poter vedere oltre, tendendo le braccia per prendere la barca col pensiero, riportarla a riva. Cielo e mare avevano lo stesso colore: un impasto colloso, bluastro, quasi solido.

Quando rientrate?
State rientrando?

Non vedeva più il veliero.

Il respiro si era fermato, con le mani a scudo sul viso cercava ancora un segno, un profilo, una vela. Ma la passione era là, nascosta, inghiottita dal mare aperto. Sarebbe tornata. Bastava aspettare.

  • *Ma c’è una cosa da guardare!

Passione

Vola il vestito, le balze come onde che accarezzano l’aria. Sul palco le luci passano tra i ballerini e il faro punta Lei, esile come fenicottero rosa acceso, pronto a volare.

Un flamenco che parte lento e sinuoso, i passi avanzano, le braccia disegnano i pensieri. All’improvviso le mani danno il tempo, in un ritmo crescente che cattura i battiti dei cuori.

Stop.

Buio.

Il faro di luce si riaccende su Lui, di schiena, teso come un toro che annusa l’aria e che, lentamente, si gira puntando un piede. Cambiano i colori, la tensione, il ritmo dei battiti delle mani che piano piano aumenta.

Lui e Lei.

Non sono loro ad essere protagonisti, è la sensualità che ne prende possesso. Una danza lenta, di sguardi e posture, giravolte che si sfiorano, petti gonfi. Il toro batte un piede. Lei, sinuosa, è persa nel suo vortice, sparisce e riappare tra i volant, come una fiamma in movimento.

Sono animali che si studiano, sono amanti che giocano. Il ritmo incalza, battono i piedi entrambi, cola il sudore e i visi si scaldano. Sono ovunque e da nessuna parte, si avvicinano e si allontanano, quasi sfidandosi, i loro capelli si toccano appena ma ormai sembrano una cosa sola.

Rosa acceso e nero, sangue e pietra, graffi di passione scanditi dall’incessante pestare dei tacchi sul palcoscenico, in un crescendo che cattura, arriva fino alle sedie, alle schiene di chi li sta osservando. E siamo là, in quel momento, proprio quando esplode e, di colpo, si ferma tutto.

Giusto il tempo di capire, di tornare a terra, e parte l’applauso, guardando il palco e le due figure sfinite, spettinate, palpitanti.

C’è stato un vincitore in quell’arena? Qualcuno voleva vincere?

Un gioco, era un gioco, come dovrebbe essere la vita. E le luci si spengono.


Foto di Dolo Iglesias da Unsplash