Dove la polvere profuma d’incenso (parte 2)

Salirono verso la Fortezza circondati da turisti a dorso di elefante, accaldati e dondolanti.

Appena scesa dal taxi le sembrò che la temperatura fosse più accettabile, forse per la frescura del lago in fondo alla valle. Camminò parecchio, salì e scese scale, si perse tra appartamenti con i soffitti a specchio, statue, decorazioni in avorio e profumo di sandalo. Poi, sbucò proprio davanti a un piccolo tempio in marmo bianco, circondato da pepli arancione come coni rovesciati, sulla cui sommità spuntavano teste rasate. Sembravano in preghiera e si diresse verso un muretto per sedersi e non disturbare, tra altri visitatori intenti a fare foto.

Un monaco le si avvicinò e le chiese se era lì per il Siddhānta Veda. Non sapeva di cosa si trattasse, non chiese, rispose solo sì. Venne così accompagnata in un angolo alle spalle del tempio, e invitata ad accomodarsi sotto ad una tenda rossa dove, seduto su delle stuoie, tra incensi, Aksamālā e Japamālā, era seduto un vecchio assorto.

La tenda si chiuse, il vecchio alzò lo sguardo, brillante, intenso, sereno. Non parlava inglese ma le fece capire che le avrebbe letto l’iride. Si avvicinò fissandola negli occhi stanchi, e cominciò a scrivere su un taccuino. Segnava date, disegnava righe e, di fianco ad alcuni periodi, scriveva qualcosa.

Non riusciva a vedere, era spossata, assetata, ma rimaneva immobile in quella condizione surreale, col sottofondo dei monaci in preghiera, l’aroma forte dell’incenso e quel vecchio che ogni tanto alzava il viso fissandola, scrutando nel profondo del suo sguardo. Talvolta sorrideva, gli sorridevano anche gli occhi, e spesso si fermava ad osservarla a lungo, spostando il viso leggermente da un lato all’altro. Parlava in indi, con calma, come se lei fosse stata in grado di capire. Poi, strappò il foglietto, lo piegò e glielo consegnò a mani giunte.

Lei raccolse quel pezzo di carta dalle sue mani, lo guardò, sperando di poter chiedere qualcosa, ma la tenda si aprì, lasciando entrare la luce ancora forte del pomeriggio. Guardò il vecchio, quegli occhi neri incastonati tra rughe profonde, e solo allora si rese conto della magrezza impressionante, delle braccia scheletriche, dei piedi lunghi e affusolati, attorcigliati intorno alle cosce. Non sapendo cosa fare gli sorrise, salutò con le mani alla fronte e, a fatica, uscì dalla tenda.

C’era un contenitore con dell’acqua all’entrata del tempio, e ci affondò le mani, passando un po’ d’acqua sul viso, poi, si tolse le scarpe ed entrò. Nuovamente seduta, in un angolo, mentre i devoti stavano portando offerte, aprì il foglietto e scrutò le date scritte, partendo da quelle appartenenti al passato. Erano date precise, anni che ricordava molto bene e in cui erano accaduti eventi che avevano cambiato in qualche modo il corso della sua esistenza. C’erano dei simboli, delle stelle, delle linee, alcune date erano collegate ad altre nel futuro, a ciò che doveva ancora accadere.

Affascinante e criptico allo stesso tempo. Una mano le sfiorò la spalla, era il giovane monaco che l’aveva accompagnata. Pensò di dover lasciare un’offerta, che stupida, non ci aveva pensato. Invece no, il monaco le consegnò un Japamālā, dono del vecchio, per protezione e preghiera. Corse fuori per ringraziare ma era sparito, non c’era più neanche la tenda.

Le restavano solo quel foglietto ingiallito, quel rosario e il canto dei mantra, più di quanto avesse sperato.

Parte 1


foto di Priyash Vasava da unsplash

Dove la polvere profuma d’incenso (parte 1)

Il viaggio era stato lungo e ora le sembrava di essere arrivata da molto tempo.

Dopo anni aveva deciso di tornare nel Rajasthan e si era fermata a Jaipur. Faceva caldo, quel caldo umido misto allo smog di un traffico incessante e lento, intervallato dal suono continuo dei clacson. Stava ammirando il Palazzo dei Venti, un macramè rosa di finestre che avevano nei secoli protetto le donne anziane della corte, intente ad osservare dall’alto la vita al di fuori.

Decise di salire sulla cima  del Chandra Mahal in cerca di u po’ di aria e, perdendosi tra i tappeti e i tessuti preziosi, si affacciò per ammirare la città al di sotto, il brulicare di vita, l’osservatorio astronomico, il Jantar Mantar. Si ricordava che ne esistevano ben cinque in India, il cui scopo principale era quello di predire il futuro. Astronomia e Astrologia erano saldamente connesse. L’Astrologia era considerata al pari di una scienza e insegnata all’Università.

Scendere di nuovo tra la folla e perdersi nel Bazar le procurò una sorta di stordimento, dovuto al jet lag e, soprattutto, al suo bisogno di silenzio, ma non era certo il luogo adatto. Le sete, cercava le sete, camminando senza fretta tra banchi stipati e mani che la invitavano a vedere la mercanzia. Ala fine, rapita dai colori di due stole impalpabili, si fermò da una signora dolcissima e, senza perdere troppo tempo in contrattazioni, le acquistò. Le era piaciuta quella signora dalla lunga treccia nera e lucida, i modi delicati. Decise di chiederle dove poter avere un consulto astrologico. La richiesta le uscì di getto, come se fosse la cosa più normale del mondo, come se le avesse chiesto l’indirizzo di un ristorante vegetariano.

E la signora le rispose.

Ed eccola su un taxi, col finestrino quasi chiuso, assalita ad ogni stop da bambini che chiedevano soldi, caramelle, qualsiasi cosa, pur di avere qualcosa. Venti minuti per raggiungere Amber e il suo Palazzo Fortezza, che custodiva all’interno due piccoli templi dedicati a Kali e Sila Devi. In quest’ultimo, secondo le indicazioni della signora, avrebbe potuto trovare qualche monaco esperto in grado di soddisfare la sua curiosità.

…segue ( parte 2)


foto di Souvik Laha da unsplah