Celeste estivo

Buongiorno Agosto.

Sono le 06.00 del mattino, l’aria è fresca, inusualmente fresca. La luce sta già impadronendosi di tutto lasciando tenere ombre degli alberi. Sembra che siano ancora intorpiditi, con le foglie dormienti, cullate da un vento leggero. Intorno tutto tace, anche le cicale, borbotta solo il caffè che sta debordando, quasi seccato di doversi alzare sempre così presto. (lui!) Mi accendo la prima sigaretta lasciando che la pelle venga accarezzata da leggeri brividi per l’aria che entra dalla finestra spalancata, e mi siedo. Mi siedo assaporando il momento di tranquillità che è solo mio, con gli occhi che si perdono nel cielo, nei colori che stanno virando da un azzurro pallido al celeste estivo.

E penso.

É l’ultimo mese d’estate. Mi è scappata via questa estate. Eppure ho vissuto le giornate roventi, qualche tuffo nel mare, le serate dai cieli a spilli, illuminate da stelle minuscole e da una luna sfacciata, l’incessante frinire da ogni dove, le continue docce per rinfrescarsi.

Ho iniziato il conto alla rovescia. É presto? Sicuramente. Ma qui l’inverno è lungo e umido, triste e soffocante come una stufa che non tira bene. Non ci voglio pensare. Spengo la sigaretta ed esco sul prato a piedi scalzi. Ci saranno già le api in giro? Cammino lentamente, arriccio le dita dei piedi sull’erba fresca e una formica passeggia veloce sul mio collo del piede. Raccolgo qualche foglia che m’infastidisce, come se fossero macchioline su un bellissimo quadro. É un tappeto astratto, i colori dell’erba variano creando disegni, senza fiori, solo tante tonalità di verde. Ed è là. Il faggio. Cresciuto con due fusti che si attorcigliano in un abbraccio delicato nato per caso, non ci sono particolari condizioni che giustifichino questo fenomeno, se non la magia della natura.

Ciao. Posso abbracciarti?

Avvinghiata ai tronchi, mi fondo a occhi chiusi in un allaccio improbabile fino a che le mie mani trovano anfratti naturali in cui adagiarsi, i miei piedi si poggiano sulle radici e la mia testa affonda tra morbide foglie.

Aspetterò la notte di S Lorenzo. Aspetterò una cascata di stelle.

Le cicale cominciano a frinire.

SPAM

Sono partiti. I suoi amici sono partiti per le vacanze. Sveglia, pillole, caffè e bagno. Aggiunge un’altra tacca alla settimana. Un’altra giornata in cui cercare qualcosa da ricordare. Così esce, come sempre, ha le sue commissioni da fare, quasi sempre le stesse, negli stessi negozi in cui incontra le stesse persone. Possibile? Devastante. Corre, corre sempre. Gli impegni si accavallano, anche se riesce a risolvere tante questioni, per lo più banali, ma comunque tossiche. Ma non riesce mai a staccare veramente, neanche quando si isola per un po’, quando si ferma a occhi chiusi ascoltando il suo respiro.

Si alza il vento e porta nuvole cariche di pioggia. Ora è fermo, sotto un temporale estivo, con l’ombrello che ripara appena. É fermo. Sposta l’ombrello, lascia che le gocce arrivino sul viso, sui capelli, lascia che il braccio scivoli di fianco con l’ombrello, fino a terra. Un tuono lontano sembra parlargli: ci sono. É un suono caldo, un abbraccio che arriva fino al cuore. Le macchine stanno passando veloci, di sicuro qualcuno lo starà guardando e si starà chiedendo cosa fa. Le gocce arrivano agli occhi e la sensazione non è quella che si era immaginato. Non sono come il collirio, oh no, sono piccole e fastidiose, gli appannano la vista. Non importa. Comincia a sentire le spalle bagnate, qualche rivolo che scende sul collo e sul petto.

Arrivano delle persone, sta ingombrando il piccolo marciapiedi. Meglio spostarsi. Piove. Annusa l’odore dell’aria bagnata, guarda i muri arroventati che odorano di pietra e sembrano antiche carte assorbenti, macchiate qua e là da minuscoli punti che appaiono e scompaiono. Il cielo è vivo. Si spostano le nuvole assorbite dal sole che reclama il suo regno. Vincerà.

I suoi amici sono partiti, e non lo hanno invitato.

“Sono finito negli spam.”