Narcisista

Ho pubblicato un libro, il terzo. La decisione di condividerlo in un post mi ha sollevato alcune perplessità, dopo aver letto uno studio secondo cui “I 15 secondi di celebrità che molti cercano su Internet spesso assumono un tratto patologico fino ad un pericoloso esibizionismo.”

Ma non è in fondo quello che facciamo pubblicando quello che scriviamo?

Assistiamo a gare per aggiungere amici al proprio carnet col risultato di ottenere un numero di contatti ingestibile psicologicamente. Moltiplicare all’infinito la propria rete di relazioni sociali genera la malsana idea che, ogni potenziale gratificazione originata dalle relazioni umane, quali la visibilità, l’ascolto, l’attenzione, l’affetto, la protezione, dipendano dai numeri più che dalla intimità delle relazioni vissute.  Generare un aleatorio consenso sociale a dimostrazione della propria esistenza in vita. Devo aggiungere però che, da Narcisista, per quanto riguarda il marketing invece… i numeri sono importanti.

Inoltre, sempre in questo studio si affermava che, i Social Network Sites ,”sono delle piazze sociali dove i passanti non necessariamente si accorgono di quello che dici.”

E qui… il campanello d’allarme è diventato una sirena spiegata.

Quanti saranno quelli che leggono davvero quello che scrivo? Importa? A me, sicuramente sì.

Io seguo chi mi interessa, mi incuriosisce, mi può insegnare qualcosa.

Lo confesso, ho anche cercato di incoraggiare chi mostrava attimi di debolezza, come un urlo di aiuto, nascosto tra le righe di un post, ma questo è tutt’altro. Ho incontrato in questo Social, persone generose e persone egoiste, si evince, e non da quello che scrivono, ma da come interagiscono.

In fondo è solo un diario senza lucchetto, aperto, abbandonato su una panchina virtuale, chi vuole, può leggere, chi vuole.


Alla stessa altezza

C’era una volta una bella scarpa, di pelle, colorata, col tacco vertiginoso. ed era una scarpa sola. Da tempo cercava di dare un senso al suo esistere e accettava inviti da tutti e per ogni evento.

Così, si era ritrovata a dover fronteggiare estenuanti corse campestri,  rimanere in piedi per ore in fila all’entrata di concerti, improvvisare arabesque strappa tendini, sfuggire schizzi salmastri in riva al mare, in bilico su dune di sabbia.

Da troppo tempo non trovava una collocazione adeguata, era davvero stanca.

Tante promesse, tante illusioni. Aveva provato a uscire con uno scarpone, ma era impenetrabile, quasi come lo stivale di gomma del mese prima.

Qualcuno le aveva detto che avrebbe dovuto accontentarsi, che non poteva certo pretendere di avere la luna, ma la scarpa voleva solo un’altra scarpa. O meglio, una scarpa che non la facesse tentennare, che l’aiutasse nel dolore di un callo ma anche che condividesse la gioia sfrenata di una serata passata a ballare fino allo sfinimento o la soddisfazione immensa di aver salito insieme un percorso vertiginoso di 4000 gradini.

Chiedeva troppo? Era così sbagliato sperare di avere al proprio fianco qualcosa su cui contare e per cui esserci sempre? Lei sarebbe stata un solido appoggio, la décolleté della vita.

Fu così che la scarpa, un bel giorno, mentre stava sfogliando una rivista, vide la sua anima gemella! Era proprio lei! Ma era già in coppia e  ahimè, l’altra, aveva sicuramente dieci anni di meno…

Cara scarpa, non cedere, non cedere mai. Sbaglieresti e soffriresti. Non vorrai ritrovarti a zoppicare con al tuo fianco una infradito?

Si sa, la vita può riservare momenti difficili come la follia di un tacco rotto, o le suole che prima o poi andranno rifatte ma, in due, si può tenere testa anche ad acquazzoni e pozzanghere, a patto di essere alla “stessa altezza”.


Foto di Marc A Sporys da Unsplash

Dove la polvere profuma d’incenso (parte 2)

Salirono verso la Fortezza circondati da turisti a dorso di elefante, accaldati e dondolanti.

Appena scesa dal taxi le sembrò che la temperatura fosse più accettabile, forse per la frescura del lago in fondo alla valle. Camminò parecchio, salì e scese scale, si perse tra appartamenti con i soffitti a specchio, statue, decorazioni in avorio e profumo di sandalo. Poi, sbucò proprio davanti a un piccolo tempio in marmo bianco, circondato da pepli arancione come coni rovesciati, sulla cui sommità spuntavano teste rasate. Sembravano in preghiera e si diresse verso un muretto per sedersi e non disturbare, tra altri visitatori intenti a fare foto.

Un monaco le si avvicinò e le chiese se era lì per il Siddhānta Veda. Non sapeva di cosa si trattasse, non chiese, rispose solo sì. Venne così accompagnata in un angolo alle spalle del tempio, e invitata ad accomodarsi sotto ad una tenda rossa dove, seduto su delle stuoie, tra incensi, Aksamālā e Japamālā, era seduto un vecchio assorto.

La tenda si chiuse, il vecchio alzò lo sguardo, brillante, intenso, sereno. Non parlava inglese ma le fece capire che le avrebbe letto l’iride. Si avvicinò fissandola negli occhi stanchi, e cominciò a scrivere su un taccuino. Segnava date, disegnava righe e, di fianco ad alcuni periodi, scriveva qualcosa.

Non riusciva a vedere, era spossata, assetata, ma rimaneva immobile in quella condizione surreale, col sottofondo dei monaci in preghiera, l’aroma forte dell’incenso e quel vecchio che ogni tanto alzava il viso fissandola, scrutando nel profondo del suo sguardo. Talvolta sorrideva, gli sorridevano anche gli occhi, e spesso si fermava ad osservarla a lungo, spostando il viso leggermente da un lato all’altro. Parlava in indi, con calma, come se lei fosse stata in grado di capire. Poi, strappò il foglietto, lo piegò e glielo consegnò a mani giunte.

Lei raccolse quel pezzo di carta dalle sue mani, lo guardò, sperando di poter chiedere qualcosa, ma la tenda si aprì, lasciando entrare la luce ancora forte del pomeriggio. Guardò il vecchio, quegli occhi neri incastonati tra rughe profonde, e solo allora si rese conto della magrezza impressionante, delle braccia scheletriche, dei piedi lunghi e affusolati, attorcigliati intorno alle cosce. Non sapendo cosa fare gli sorrise, salutò con le mani alla fronte e, a fatica, uscì dalla tenda.

C’era un contenitore con dell’acqua all’entrata del tempio, e ci affondò le mani, passando un po’ d’acqua sul viso, poi, si tolse le scarpe ed entrò. Nuovamente seduta, in un angolo, mentre i devoti stavano portando offerte, aprì il foglietto e scrutò le date scritte, partendo da quelle appartenenti al passato. Erano date precise, anni che ricordava molto bene e in cui erano accaduti eventi che avevano cambiato in qualche modo il corso della sua esistenza. C’erano dei simboli, delle stelle, delle linee, alcune date erano collegate ad altre nel futuro, a ciò che doveva ancora accadere.

Affascinante e criptico allo stesso tempo. Una mano le sfiorò la spalla, era il giovane monaco che l’aveva accompagnata. Pensò di dover lasciare un’offerta, che stupida, non ci aveva pensato. Invece no, il monaco le consegnò un Japamālā, dono del vecchio, per protezione e preghiera. Corse fuori per ringraziare ma era sparito, non c’era più neanche la tenda.

Le restavano solo quel foglietto ingiallito, quel rosario e il canto dei mantra, più di quanto avesse sperato.

Parte 1


foto di Priyash Vasava da unsplash

Dove la polvere profuma d’incenso (parte 1)

Il viaggio era stato lungo e ora le sembrava di essere arrivata da molto tempo.

Dopo anni aveva deciso di tornare nel Rajasthan e si era fermata a Jaipur. Faceva caldo, quel caldo umido misto allo smog di un traffico incessante e lento, intervallato dal suono continuo dei clacson. Stava ammirando il Palazzo dei Venti, un macramè rosa di finestre che avevano nei secoli protetto le donne anziane della corte, intente ad osservare dall’alto la vita al di fuori.

Decise di salire sulla cima  del Chandra Mahal in cerca di u po’ di aria e, perdendosi tra i tappeti e i tessuti preziosi, si affacciò per ammirare la città al di sotto, il brulicare di vita, l’osservatorio astronomico, il Jantar Mantar. Si ricordava che ne esistevano ben cinque in India, il cui scopo principale era quello di predire il futuro. Astronomia e Astrologia erano saldamente connesse. L’Astrologia era considerata al pari di una scienza e insegnata all’Università.

Scendere di nuovo tra la folla e perdersi nel Bazar le procurò una sorta di stordimento, dovuto al jet lag e, soprattutto, al suo bisogno di silenzio, ma non era certo il luogo adatto. Le sete, cercava le sete, camminando senza fretta tra banchi stipati e mani che la invitavano a vedere la mercanzia. Ala fine, rapita dai colori di due stole impalpabili, si fermò da una signora dolcissima e, senza perdere troppo tempo in contrattazioni, le acquistò. Le era piaciuta quella signora dalla lunga treccia nera e lucida, i modi delicati. Decise di chiederle dove poter avere un consulto astrologico. La richiesta le uscì di getto, come se fosse la cosa più normale del mondo, come se le avesse chiesto l’indirizzo di un ristorante vegetariano.

E la signora le rispose.

Ed eccola su un taxi, col finestrino quasi chiuso, assalita ad ogni stop da bambini che chiedevano soldi, caramelle, qualsiasi cosa, pur di avere qualcosa. Venti minuti per raggiungere Amber e il suo Palazzo Fortezza, che custodiva all’interno due piccoli templi dedicati a Kali e Sila Devi. In quest’ultimo, secondo le indicazioni della signora, avrebbe potuto trovare qualche monaco esperto in grado di soddisfare la sua curiosità.

…segue ( parte 2)


foto di Souvik Laha da unsplah

✖︎ unknown error

L’uomo è salito in cima all’Everest e sceso in fondo all’oceano, ha lanciato razzi nello spazio, spaccato l’atomo, compiuto miracoli in ogni campo dell’attività umana (cit.007) MA, non è ancora riuscito ad evitare i REFUSI.

Perché ci tocca leggere refusi un po’ ovunque? Passi se li si trova nella lista della spesa della vicina  ottuagenaria ma non li trovo davvero giustificabili in magazine mensili, il cui stuolo di redattori, segretarie e correttori bozze, si presume servano a filtrare in più step di controllo quello che può sfuggire ad uno solo. Così, ad esempio, succede che quello che doveva essere il premio per i primi tre vincitori di un concorso letterario, cioè la pubblicazione del racconto, diventa una beffa se vengono pubblicati, nella suddetta rivista, i cognomi sbagliando una lettera e storpiandoli del tutto. Sapendo già che sarà forse possibile inserire un errata corrige “diciamo tra due mesi”, allora non resta che rimpiangere gli acronimi.

Una questione a parte è poi quella dei refusi non per distrazione ma per errore di battitura da triste ignoranza, colpa anche delle odiosissime correzioni automatiche che a volte ci fanno apparire come trogloditi, incapaci di scrivere frasi di senso compiuto, e delle famigerate sigle che impoveriscono sempre più il lessico: CVED(ci vediamo dopo), 10Q(Thank you), BBL (Be Back Later), C6?( Ci sei?), MDR (Morto dal ridere), TAT (Ti Amo Tanto), XK (Perché)…

Per scrivere, bisogna averne voglia e lasciarsi ipnotizzare dalla musicalità delle parole. Nulla contro il progresso e le novità, adooooro la potenza digitale, che però sviluppa sicuramente i muscoli lombricali della mano ma, se abusata, atrofizza l’intelletto e la vista.

EVIDIENTEMIENTE, LOL.

aevĭtas

Questa faccenda del diventare vecchi non mi piace per niente. ” I vecchi, sarebbe meglio ammazzarli da piccoli” diceva la mia nonna che, a 101 anni, ancora dava consigli ai nipoti.  Quindi, corazzata da cotanta saggezza, ho affrontato i passaggi da un decennio all’altro con la leggerezza che amo intravedere anche nelle persone un po’ “lost in translation”. Accuso spesso un eccesso di curiosità e non mi importa se avverto una stanchezza anomala che mi prende dopo pranzo, come un alligatore che ha divorato un bue, anche se mi sono concessa una veloce insalata. Non sarà per caso che la devo smettere di voler avere performance sportive da trentenne?  Se poi la vogliamo dire tutta, i momenti topici si raggiungono quando si entra in qualche negozio in cui la commessa piena di iniziativa, ti propone capi adatti a quella signora anziana che incontri ogni giorno sul pianerottolo e che aiuti con le buste della spesa. Al limite della querela per diffamazione. Sono giunta alla conclusione che parlare di età sia nefasto, avventurarsi nelle pericolosissime pieghe (non ho detto rughe) della mente che “cresce”, sia sconsigliato ai deboli di vita. Cara nonna, se ancora fossi qui, andremmo insieme a mangiarci un gelato, parlando di tua sorella che faceva teatro negli anni ’20 alla scandalosa età di quarant’anni, con il rossetto e i tacchi, nostrana Coco, affascinante eccentrica signora. Ecco da chi vorrei (spero di) aver preso…

Il primo passo verso una sana maturità postuma è la consapevolezza. E cambiare negozio.

#140 volte AnnA


Era da un po’ che girovagava tra i siti in cerca di idee. Era nato come passatempo, qualcosa per non restare fuori gioco, ormai avere un blog era come avere la patente. Si guardò allo specchio, forse il trucco era da ritoccare, la pettinatura non le piaceva e neanche come si era vestita. Com’era difficile creare qualcosa di diverso. Si alzò dalla scrivania e si accese una sigaretta andando verso la finestra. Rimase un po’ a guardare le gocce di pioggia cadere sul vetro e la sua immagine che si confondeva col riflesso delle luci del ristorante cinese, dall’altra parte della strada.

Non dormiva bene da un po’ di tempo e chattare era meno costoso delle benzodiazepine di sua madre. I followers erano in aumento, se ne erano aggiunti alcuni dal nome preoccupante:micatemordo, piùfigadite, mortochecammina,,, giunse alla conclusione che chiamarsi AnnA in fondo risultava originale. Le bastava pubblicare una foto dei suoi piedi con lo smalto appena fatto per venire retwettata centinaia di volte. I like si moltiplicavano se si era tagliata un dito.  Quella faccenda del Blue Whale l’aveva stomacata, cinquanta step autolesionisti da seguire come un malvagio estremo gioco dell’oca in cui nessuno vince. Guardò i retweet del suo ultimo post, poi guardò il tabacco fumante della sigaretta, accese il video e fissò lo schermo con la sigaretta in una mano, pronta a spegnarla sul dorso dell’altra.

Twittò: – Non trovavo il portacenere –  e postò il video.

Splash

L’acqua è fresca, ancora molto pulita perché è il primo giorno di apertura delle piscine. Mentre galleggio e guardo il cielo  penso alla sveglia presto per arrivare presto. Ma ora siamo qui, in mezzo al verde delle campagne emiliane, circondati da dolci colline, a mollo  come ragazzini di dieci anni, con gli occhiali che riflettono i raggi del sole e le foglie degli alberi. Allora perché mi pare di avvertire una minaccia? Sarà che ancora non mi sono rilassata del tutto, anche se  ho preso le mie precauzioni: abbiamo prenotato in un zona appartata, dove è vietato l’accesso ai minori di 12 anni. Là in fondo, dietro quel piccolo boschetto intravedo la piscina per i bimbi, con giochi d’acqua e tanto spazio.

Qui invece, la quiete regna sovrana. Gli adulti passeggiano  a piedi nudi sul bordo di legno della piscina, giacciono pigri sui lettini all’ombra di bianche tende e grandi ombrelloni. Quasi tutti leggono, qualcuno dorme, pochi chiacchierano. Noi nuotiamo lentamente, accarezzati dai raggi del sole ascoltando il rumore dell’acqua. Pausa. Che ne dici di un caffè? Why not. Ci avventuriamo verso uno dei bar, quello vicino ad un’altra area, con specchio d’acqua a imitazione caraibi sia per forma sia per colori. Impressionante. Mancano le palme. Siamo in emilia-romagna, meglio i ciliegi. Caffettino niente male ma in bicchierino di plastica, quindi da bere velocissimi per non ingoiare anche un po’ di polietilene. Facciamo una perlustrazione dell’area abbandonando la zona simil-tropico e la moltitudine di gente che si accalca per essere pied dans l’eau. Incontriamo nell’ordine, palestrati unti come spiedini pronti per la griglia, famigliole in pieno sole, con pranzo al sacco in enormi frigo da campo posizionati all’ombra, tutta la serie di emuli di Raul Casadei  e le post Vanna Marchi. Tanti, ma tanti, ma veramente tanti ragazzi e ragazze.

Torniamo alla “base” e, mentre in cuor mio esulto per la scelta fatta, mi pare di sentire dei fischi. E’ il bagnino. Appena superato il ponticello, proprio di fronte ai nostri lettini, quella che era una “zona protetta” aveva nel frattempo subito un attacco alieno. L’acqua bolliva, agitata come in balia di un Hurricane: tuffi a bomba senza pietà. Troppa gente, la migrazione in cerca di frescura aveva riempito anche quest’ultimo angolo.

“La felicità è come un treno senza orario: ne passa uno ogni tanto. Non puoi prevederne l’arrivo, né sapere quando ripartirà.Il tuo compito è andare in stazione.” P. Crepet

E’ stato bello.

Adieu.

 

Snob

Snob.

Ti siedi al tavolino di questo famoso bar di Roma e guardandoti intorno lentamente ti accomodi. Sei così bella, lo sai e sai che ti stanno guardando. Accanto a te, signore e signori più o meno famosi, di mezza età, stanno parlando tra loro e qualcuno lancia una fugace occhiata. I camerieri ti conoscono, non passi inosservata, anzi, direi che sei fin troppo visibile, quasi esagerata. Capelli vaporosi e tacchi alti, una maglietta così attillata da sembrare un tatuaggio. Ma non sei volgare, sicuramente appariscente, eccentrica, ma non ordinaria, indossi solo capi di qualità, abbinati con gusto. Un canuto ex politico si volta e ti fissa senza vergogna mentre tu ordini una coppa di gelato, precisando bene i gusti: cioccolato amaro, crema e marron glacé. Ignori quello sguardo insistente, stai aspettando qualcuno. Ora sì che sono curiosa, ho finito il mio caffè shakerato, sono all’ombra e tira una brezza deliziosa. Ti accendi una sigaretta, più per scena che per vizio, e aspetti. Arriva qualcuno, ma tira dritto. Poi, in un attimo, siamo circondati da un gruppo vociante di ragazzini, insegnanti e camerieri che mi tolgono la visuale. Accidenti, spostatevi, vi volete togliere di torno? Cos’è questo caos improvviso? Non è tollerabile, non in questa piazzetta, non oggi. Passano lenti i minuti, un bulldog inglese si accomoda sotto al mio tavolino per il caldo e comincia a sbavare. Odio questi cani quando sbavano. Una signora di fianco a me cinguetta ” Che dolce!”. Ecco, allora lo tenga sotto il suo di tavolino. Alzo lo sguardo e…lei non c’è più! COME? Non è possibile, la mia curiosità è destinata a restare insoddisfatta, a metà, come il mozzicone di sigaretta che ha lasciato nel portacenere, come il gelato sciolto nella coppa d’acciaio che ora brilla al sole.

E il bulldog continua a sbavare.

Il tubetto di dentifricio

E siamo qui. Ancora una volta. Io, te e il tappo del tubetto di dentifricio. Tutta questa punteggiatura serve come un mantra che mi aiuta a minimizzare quel piccolo moto di stizza che mi prende ogni volta che vedo la pasta biancastra del dentifricio formare arabeschi disegni sul lavabo. L’acqua scorre e anche oggi aspetto. Attendo paziente che tu termini, abbracciandoti alla vita da dietro. Poi tu mi sorridi, mi dai un bacio dolce sulla fronte e te ne vai. E io rimango a  guardarmi allo specchio, prima di spostare il mio sguardo verso il basso, là dove già so che, con insolenza, troverò a fissarmi IL Tappo. Proprio lui, con quella coroncina da sovrano, altezzoso e fermo sull’orlo, ben distante dal SUO tubetto di dentifricio.

Il Tappo è consapevole del suo potere racchiuso in pochi centimetri di plastica, sembra sfidarmi, e io, cavaliere senza corazza  in questa lotta impari, ignorandolo ancora una volta, con fare deciso lo prendo e lo avvito al suo destino. Quante coppie sono state travolte dalla sua infida presenza? Quanti hanno perfino litigato, per colpa sua?

Lo specchio mi rimanda la mia immagine sorridente, con lo spazzolino in mano. Il tubetto di dentifricio ora è al suo posto, innocuo e un po’ emaciato si mostra per quello che è. Buona giornata.

Al posto giusto

Sono al posto giusto, come un cucchiaio nella Nutella.  Deve essere per questo che oggi nessuno regge il mio sguardo o forse sono semplicemente “un tantino fuori”. Sarà che ho pianto molto e ora mi guardo con benevolenza, saggiamente consapevole che non è ancora finita, che altre prove mi attendono proprio là, dietro quell’angolo, camuffate da opportunità e non da scelte obbligate.

Che nessuno oggi mi ripeta slogan faciloni sulla positività, sui colori della vita e la beatitudine del nirvana. Oggi mi sento al posto giusto, la mia mente è in vacanza e rifugge eventi straordinari. Fisso la vetrina di una gelateria e il mio sguardo trapassa la mia immagine riflessa, fino ad arrivare alla ragazza che sta componendo un complicatissimo cono con topping colorati. La mia attenzione è attirata non tanto dalla torre di babele di gelato quanto dalla divisa della ragazza: reggiseno a punta stile Madonna anni ’80.

Puro marketing al gusto variegato amarena.

Già.

Un gelato, è quello che ci vuole per rompere il circolo dei pensieri ruminanti. Forse, se lo mangio in fretta, il freddo congelerà un attimo la mia mente che parla, parla, e non smette. Sono intasata dai pensieri ma non importa, in fondo ai miei pensieri c’è l’entrata alla caverna di Alì Baba, ma non sono sicura che basti dire “apriti sesamo”, non in questo periodo.

” Ok, vorrei  Vipera e Curry”. L’ho detto già che oggi sono al posto giusto?

Dejà vu.

…………

Anche oggi parcheggio al solito posto. Un po’ per scaramanzia, un po’ per che culo! [lat. cūlus], la giornata mi appare subito migliore. Raggiungo la mia squadra e intavoliamo la solita kermesse pre-impegni quotidiani con la bonaria irrisione delle scarpe dei passanti.

Oggi siamo invitati a partecipare al Life Coaching  Un viaggio di esplorazione e di buchiscoperta, lavorando sul cambiamento.  Siamo HiPo (High Potential). Eccola, la vedo in lontananza, arriva Lei, la Coach Professionista.

Maria Laura: “Ma quanti anni ha?” – Paolo:” Carinaaaaa…” – Manuel:” Dovrebbero organizzarli più spesso questi incontri” – IO: non pervenuta.

Siamo seduti da 30 minuti. La mia attenzione sta scemando, forse perché è un dejà vu, forse perché “la professionista che facilita i processi di cambiamento dell’individuo“, sta parlando, parlando, parlando, senza arrivare da nessuna parte. Un po’ come remare in canotto controcorrente. Mi fa quasi tenerezza se non fosse che AVREI DA FARE.

Sfida. Ora parla di Sfida: “…il coach propone metodi, strategie e strumenti, assegna compiti, azioni e cambiamenti per raggiungere lo scopo prefissato…”

Eccoci. Forse ci siamo. A chi tocca fare questo? A chi tocca fare quello? E quell’altro?

“I “vorrei” si trasformeranno in “voglio”! Abbattete le Resistenze personali!”           …………………………………………………………………………………………………….

La mia autostima vuole un caffè. CAFFE’! Il mio Regno per un Caffè, LUNGO! Che ne dici? Non voglio una risposta immediata, ti invito a riflettere.

F.to  HiPo Bibidi Bobidi Bu

Cannato, sballato, scimmiato

Rumore di vetri rotti. Una bottiglia lanciata contro la fontana va in pezzi, un suono acuto che si confonde negli schizzi d’acqua. E’ notte fonda, sono quasi le tre e le voci dei ragazzi sono come versi di animali agitati, persi. Alcuni gridano, altri cantano e ridono, sicuramente qualcuno sta vomitando.

Scosto un po’ la persiana e vedo le loro teste nelle ombre lunghe dei lampioni, una coppia  sta litigando e gli altri sono appoggiati al muro. Hanno bevuto, tanto. Non c’è gioia nelle risate, i discorsi si fanno pesanti e concitati, qualcuno si agita. Una ragazza si sente male, non respira o forse è solo svenuta. Si forma un cerchio intorno a lei, ora è distesa a terra e qualcuno grida aiuto, spaventato.

Luci che si accendono, come tanti occhi che si spalancano nel buio e altre persiane si scostano. Qualcuno ha già avvisato la Polizia perché arriva subito una volante e dopo poco un’ambulanza. Caricano la ragazza e partono. Restano due poliziotti e il gruppo di ragazzi che cominciano a svuotare le tasche, qualcuno piange, uno sta telefonando. I poliziotti prendono i documenti, fanno domande, guardano le bottiglie a terra.

Sul muro di fronte il lampeggiante proietta figure aliene che si muovono tra i gerani appesi ai  balconi, incorniciate dall’edera e dalle crepe. Un film, muto.

 

Ti insulto, ma con garbo

” Non sta recitando, no? Lei è davvero così sgradevole? ”  Anche oggi purtroppo ho incrociato un modello base di essere umano, dotato solo di un corpo in movimento, senza grazia e sensibilità.

Sono certa di non essere la sola a incappare in esemplari maleducati, spesso corredati da ogni tipo di gadget anche se li vedrei bene solo con una clava. Sarà un Virus? Una forma infettante che, come un programma pirata, altera i comportamenti degli umani? Siamo sotto attacco del parassita arrogante?

Altrimenti non si spiega perché entri in certi negozi sorridente, salutando, e vieni accolta dalla mummia Ötzi, un po’ seccata, che biascicante ti chiede “lapossoaiutare?”  Mi verrebbe da rispondere NO, per favore LEI NO.

Quando poi ignorano o offendono gli anziani, allora il CAPITAN HARLOCK che è in me splende di luce propria, disposto a memorabili duelli dialettici per arginare gli alieni ignoranti.

Difficile difendersi, impossibile ignorare,quindi mi rendo conto di poter apparire snob, ma ACCANTO (a me) è un posto per pochi.

Guanti di velluto

E’ domenica. Una domenica piovosa di maggio, i colori degli alberi, delle case sembrano sfuocati e mi sono vestita come a novembre. Caldo a parte, sono felice di essere seduta in un caffè semi-deserto, con una mia amica, di quelle con la A maiuscola. Momenti preziosi e felici come una cucchiaiata di cioccolata calda con panna.

 

La mia amica è una donna-alfa, suo malgrado. La donna-alfa, come l’uomo-alfa,  possiede un carisma naturale, ma in più è dotata di svariate attitudini. Mi riferisco a capacità artistiche, manualità sorprendente, sensibilità a doppio senso, indole da leader con guanto di velluto, anzi guanti, due (lo stile innanzitutto.)

Niente a che vedere col “talento naturale allo stiro e alle faccende domestiche”, riconosciuto a tutte. Come un master.

Che altro? Se tralasciamo l’invidia verde acido che ogni donna-alfa suscita indistintamente in uomini e donne standard, direi che rimane l’aura brillante che la avvolge.

Ecco, la guardo e sorrido. Chi ha carattere fa rumore. Anche in silenzio.

Occhio, il mondo pullula di fake. 

Avere naso (anche se chiuso)

Cos’è che ci avvisa dell’arrivo della primavera? Lo starnuto. Una fisiologica e naturale conseguenza respiratoria che fa da colonna sonora al vento tiepido di questa meravigliosa stagione. Raffreddori tardivi a parte, le riniti causate dai pollini sono una vera tragedia per chi ne soffre e una tortura per chi frequenta questi ultimi, io nella fattispecie.

Non si può nemmeno pensare di godersi una passeggiata in un ombroso boschetto, non è concesso spalancare le finestre, frequentare parchi, uscire in caso di forte vento e mi sto trasformando in Barbie-contadina a forza di tagliare l’erba, raccogliere foglie, eliminare erbacce.

PARE che, in questo periodo dell’anno, si debba evitare anche di asciugare i panni all’esterno. Un’ode all’asciugatrice.

Lamenti a parte, solo chi convive con tali problemi sa che ha da passà questo periodo e non si scandalizza di fronte a nasi rosso porpora, gocciolanti e perennemente tappati. A questo proposito, dedicherei un particolare encomio agli inventori dei fazzoletti di carta, specie se riciclata, sinonimo di progresso evolutivo. I meravigliosi fazzoletti in stoffa, i mouchoirs adorabili, morbidi e profumati, non reggerebbero questi attacchi.

Volendo (anche no) affrontare il penoso argomento dell’educazione dei soffiatori compulsivi nei luoghi pubblici, la mia lunga esperienza in materia potrebbe tradursi in un utile pamphlet da autodifesa:

  1. non avere paura, sei solo nel posto sbagliato al momento sbagliato
  2. il soffiatore non lo fa apposta
  3. cerca un giapponese raffreddato e fatti prestare una mascherina (lui non capirà ma non importa)
  4.  prima che starnutisca, a scelta, puoi effettuare una torsione del busto di 90 gradi o frapporre il vicino tra te e il soffiatore

Insomma, sopravvivere al periodo delle Gimnosperme e Angiosperme, cioè al trasferimento di polline dalle antere di un fiore allo stigma dello stesso fiore o di un altro fiore (cit.Treccani)… SI PUO’ FARE!

“Ti quoto”

Un’immagine vale più di mille parole. Vero. Ma quando le parole, meglio se poche, lasciano il segno, è una lotta tra titani. Le parole sono importanti, conoscere il loro significato aiuta ad evitare gaffe e problemi. Se avessi scritto totani e non titani avrei ottenuto un risultato differente, una zuppa di pesce.

“Gli angeli nel cielo parlano italiano”, fa dire Thomas Mann in Confessioni del Cavaliere d’Industria. L’italiano è una lingua bellissima, complessa e in continua evoluzione: TV, Pubblicità, Marketing, Quotidiani e (ebbene sì) i Blog sono tutti terreni fertilissimi, in cui si generano continuamente nuove espressioni: Spesometro, Esodati, Briffato, Skillato, Linkare, Loggarsi, Aristo-Pop, Uplodare, Mediagenico... I neologismi sono anarchici, le parole si autogenerano, si diffondono viralmente entrando a far parte del lessico di una lingua.

Poi esistono deviazioni come l’espressione ” Ti quoto” che nei forum si usa spessissimo per indicare che si sta”citando” quella risposta. Ma il verbo Quotare in italiano significa misurare, stimare nel senso di valutare. Non è dunque  inglese (I quote you) né  italiano (ti valuto). E’ così e basta.

Espressioni come “In buona sostanza…” sono defunte o in procinto di. Quell’allure romantica che rimandava a scene di nobili combattimenti verbali, lascia il passo a duelli rusticani tra tips, trends e tronisti. Soprattutto al suono di “CORTO E’ BELLO” nascono acronimi o abbreviazioni  usa e getta: Pelfie (selfie con un pet),  Bae ( la persona più importante per te – Before Anyone Else), Ship ( Relationship)…

Anche se personalmente adoro “Mi punge vaghezza” 😉

HAVE A LOOK

non possiamo non ASCOLTARE e LEGGERE i segnali delle nuove intelligenze digitali.

E mentre annusiamo le tracce lasciate da menti selvagge, libere nel vortice della fantasia, inorridendo quando ci scontriamo con coniugazioni verbali inesistenti o aberranti, lo studio della lingua italiana si espande in tutti i paesi del mondo:“Learn the language of your nonni!” (UCLA)

La lingua degli angeli, nonostante tutto, vola alta.

Gli occhi felici

E la metro frena, con la consueta delicatezza, facendomi scivolare di un metro sui sedili. Le ragazze, unghie laccate come opere di Warhol, le borse piene di libri e gli occhi felici stanno parlando:

Secondo te la mente è importante?”

Mah, esiste una giusta via di mezzo…

“Secondo te, cosa guardano gli uomini in mezzo alla strada? Se sei colta? Ma dai!”

Io non voglio essere un prodotto del mio ambiente, voglio che l’ambiente sia un mio prodotto.

“E questo cosa c’entra?”

Niente, l’ho letto la’…

Chiacchiere sciolte come l’aria di primavera, con quella leggerezza che si è destinati a perdere con l’età, quando i doveri allargheranno a dismisura i loro tentacoli. Anch’io sono stata così giovane?

Poi scoppiano a ridere, risate piene, di pancia, con gli occhi umidi che brillano e le parole intrappolate nei singhiozzi.

Le guardo scendere pattinando su quelle sneakers che è vietato indossare dopo i trent’anni e penso che “domani me le compro.” In fondo se sembra normale vedere pubblicità in cui si parla con una gallina confrontando la qualità dei biscotti, posso anche scegliere di vestirmi come mi pare. La metro riparte, come la vita, ma con meno strattoni.

E io sto sorridendo.

Bada ben, bada ben…

Paesino di provincia, uno dei tanti sparsi nel Nord Italia. Villette, campi e badanti. Tante badanti.

Qualche tempo fa, le riconoscevi alle fermate degli autobus o in fila con le borse di plastica al mercato, perché camminavano rapidamente, occhi a terra, in jeans e Hogan usate, ereditate da qualche signora durante il cambio stagione nell’armadio. Erano tutte straniere.
Qualcuna era laureata, parlavano minimo tre lingue.
Una vita dura, lontano da casa, risparmiando per la famiglia, per i figli che vedevano solo due o tre volte all’anno dopo 24 ore di tragitto in pulman stracarichi.
Ma ora, se cerchi una badante, ti rispondono ragazze italiane, che stanno studiando o sono semplicemente stanche di aspettare lavori che non si trovano. Tante ragazze che snobbano call  center e contratti a chiamata, che preferiscono essere pagate per quello che, in tempi felici, facevano come volontariato.
La paga è buona, in regola, con contributi e tfr, si lavora 6/8 ore al giorno e spesso comprende vitto e alloggio.
Certo, bisogna avere la pazienza di un monaco tibetano, la forza di un nerboruto e non bisogna essere schizzinose perché cambi di pannolini e lavaggi di anziani richiedono delicatezza e tatto, a volte stomaco di ferro.
Sicuramente non si tratta del lavoro dei sogni, non risponde ai sacrifici fatti in anni di studi e sono sicura che continueranno a cercare di trovare il proprio sbocco, la propria opportunità, ma nell’attesa cercano di mantenersi, di aiutare magri emolumenti familiari o di risparmiare per un progetto.
Ai miei tempi si usava andare au pair all’estero per studiare le lingue e il sacrificio era notevole, pochi soldi per interminabili pomeriggi con nani pestiferi e umiliazioni continue da matrigne stizzose, ma mi è servito. Per undici mesi la prima volta e 1 anno e mezzo la seconda. E due lingue perfezionate.
Quindi, brave ragazze, sono certa che ce la farete. Donne forti, che si sono messe in gioco, che non si vergognano di andare a lavare i piatti in un ristorante, che si spaccano la schiena d’estate a raccogliere pomodori (credo sia una delle attività più pesanti al mondo, seconda solo al taglialegna) e che continuano a scrutare l’orizzonte, a studiare, informarsi e proporsi.
Siate ribelli.😜

In-videre.

“Complimenti cara!!!” Occhio, malocchio… gli occhi non mentono. Quando il suono dei complimenti non è in sincrono con la luce degli occhi possiamo difenderci optando, a scelta, tra un gesto scaramantico dei più tradizionali o un rito woodo.

A volte si tratta di fronteggiare la semplice falsità, qualche volta siamo alla gogna dell’invidia. Perché?Perché siamo umani, deboli, a volte orribili, e ci piace il colore verde, noto colore dell’invidia, meglio se tendente all’acido.

Quindi anche se tutto, ogni cosa, vuole essere amata, capita che non ci riusciamo e visto che non possiamo invidiare un criceto, invidiamo gli altri esseri della nostra specie.
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Direi che è la reazione opposta a quanto avviene con le affinità elettive, “dove affini sono quelle nature che incontrandosi subito si compenetrano e si determinano reciprocamente”.
(cit. J. W. G.)
Con l’invidioso invece nessun amalgama o immedesimazione, come se si tentasse di mescolare l’olio e l’acqua. Piuttosto si fanno paragoni, si “guarda storto” (in-videre, lat.), macerandosi nella certezza che l’altro sia MEGLIO.
Vade retro. E’ sempre colpa degli altri, siamo sempre vittime? E se fossimo le cause?
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Mi piace pensare che sia possibile e ci provo.
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Allora, ” Tu, maledetta che sculetti su quei tacchi come se ci fossi nata e te ne vai senza neanche salutare mentre tutti ti guardano sognanti, sappi che NON ti invidio per niente.
NON invidio la tua bellissima età, NON invidio i tuoi successi professionali arrivati così in fretta,
NON invidio…”
invidia, invidia, invidia,invidia,invidia,invidia, invidia, invidia, invidia,invidia, invidia, invidia  
NON ce la posso fare.
NON è vero.
 invidia, invidia, invidia,invidia,invidia,invidia, invidia, invidia, invidia,invidia, invidia, invidia 
Perdoniamoci.
E chiediamo scusa a noi stessi per aver creduto di non essere abbastanza.