STALKING. Sapresti difenderti?

STALKING. Sapresti difenderti?

TI SCRIVO PERCHÉ NON SO AMRARE

Echos edizioni – echosprime.it

Ti hanno detto

E così hai aperto gli occhi. Anche oggi.

La sveglia ha suonato la prima volta e l’hai silenziata, sapendo di avere ancora 15 minuti prima del secondo e definitivo squillo. Ti sei crogiolato tra le lenzuola, mezzo scoperto perché fa ancora caldo, e hai passato quei 15 minuti in dormiveglia, forse hai sognato, ti sei stiracchiato, hai affondato la testa nel cuscino, cercando l’oblio.

Ma al secondo allarme, rumoroso e fastidioso come un colpo di clacson al semaforo, sei scattato a sedere, come una molla. Hai ancora gli occhi chiusi e non vorresti, proprio non vorresti alzarti.

Allunghi una mano sul comodino, prendi le tue pillole bianche e rosa e bevi, a collo, dalla bottiglia.

Alzati, forza.

Quanto è difficile, quanto peso hai addosso. Eppure ti hanno detto che sei forte.

Che ne sanno?

Ti guardi allo specchio, la barba, devi rasarti, e dovresti anche andare dal barbiere. Oggi, no.

Un passo davanti all’altro, fino alla cucina, ti siedi mentre aspetti il caffè. I pensili, la tavola, il forno, la macchinetta del caffè. Borbottio e vapore profumato, spegni il fuoco. Rimani così, in piedi, davanti alla moka, la tazzina di fianco che aspetta.

Rimani così.

Hai chiuso ancora gli occhi, vorresti solo dormire. Ma ti hanno detto che sei forte. Versi il caffè e lo bevi lentamente, caffè nero, lungo, senza zucchero, come la tua vita, amara e buia.

Un piede davanti all’altro fino al bagno. Ti hanno detto che sei forte. La schiuma da barba bianca, una nuvola sul viso e il rasoio che traccia solchi, sciacqui e ricominci. Ti hanno detto che sei forte. Le braccia pesano, una lacrima scende lungo un solco appena rasato, tra la schiuma.

Che ne sanno?


Foto di Serhat Beyazkaya da Unsplash

Alla stessa altezza

C’era una volta una bella scarpa, di pelle, colorata, col tacco vertiginoso. ed era una scarpa sola. Da tempo cercava di dare un senso al suo esistere e accettava inviti da tutti e per ogni evento.

Così, si era ritrovata a dover fronteggiare estenuanti corse campestri,  rimanere in piedi per ore in fila all’entrata di concerti, improvvisare arabesque strappa tendini, sfuggire schizzi salmastri in riva al mare, in bilico su dune di sabbia.

Da troppo tempo non trovava una collocazione adeguata, era davvero stanca.

Tante promesse, tante illusioni. Aveva provato a uscire con uno scarpone, ma era impenetrabile, quasi come lo stivale di gomma del mese prima.

Qualcuno le aveva detto che avrebbe dovuto accontentarsi, che non poteva certo pretendere di avere la luna, ma la scarpa voleva solo un’altra scarpa. O meglio, una scarpa che non la facesse tentennare, che l’aiutasse nel dolore di un callo ma anche che condividesse la gioia sfrenata di una serata passata a ballare fino allo sfinimento o la soddisfazione immensa di aver salito insieme un percorso vertiginoso di 4000 gradini.

Chiedeva troppo? Era così sbagliato sperare di avere al proprio fianco qualcosa su cui contare e per cui esserci sempre? Lei sarebbe stata un solido appoggio, la décolleté della vita.

Fu così che la scarpa, un bel giorno, mentre stava sfogliando una rivista, vide la sua anima gemella! Era proprio lei! Ma era già in coppia e  ahimè, l’altra, aveva sicuramente dieci anni di meno…

Cara scarpa, non cedere, non cedere mai. Sbaglieresti e soffriresti. Non vorrai ritrovarti a zoppicare con al tuo fianco una infradito?

Si sa, la vita può riservare momenti difficili come la follia di un tacco rotto, o le suole che prima o poi andranno rifatte ma, in due, si può tenere testa anche ad acquazzoni e pozzanghere, a patto di essere alla “stessa altezza”.


Foto di Marc A Sporys da Unsplash

R: rosa, rosso, rapace

Oggi c’è un po’ di sole, il cielo è velato da nubi che sembrano zucchero filato, un po’ rosa, un po’ azzurro. Vestita per andare a scuola, soppesa lo zaino nuovo, è un bel carico ma non importa, oggi è il primo giorno di scuola. Esce di casa, si sente bella, sarà la curiosità di rivedere i compagni dopo l’estate, sarà che è l’ultimo anno di liceo, oggi, è bella. È partita presto e cammina calma, guardandosi riflessa nelle vetrine. Si ferma e si fa un selfie, il suo sorriso, il suo vestitino nuovo, un po’ di trucco e i capelli che profumano.

C’è tempo. Passerò per il parco.

Che meraviglia, in tutto quel verde, ascoltando Cosmic Love dalle cuffiette del telefono, ferma, sul sentiero, con gli occhi chiusi.

… A falling star fell from your heart

and landed in my eyes…

Due braccia, una mano sulla bocca, qualcosa di forte e terribile la solleva e la trascina via. La lancia oltre la siepe e la blocca a terra, afferra la sua testa e la sbatte più volte sul prato. Un pugno violento in pieno viso le blocca la voce, l’urlo che rimane in gola. Ed è schiacciata al suolo, senza respiro, i capelli coperti di foglie e sangue. Uno strappo e poi, solo dolore, atroce, sconosciuto, profondo e senza fine. Umori fetidi, vomito che vorrebbe esplodere, si agita come un pupazzo, come un piccolo ragno schiacciato da una pietra.

Ed è finito.

Tutto.

È per terra, la sua figura esile, tremante e immobile, le gambe aperte e graffiate, le braccia lungo il corpo, senza forze.

Non ha più un corpo.

Le cola il sangue su un occhio mentre fissa il cielo, non ha più un corpo. Le nuvole di zucchero filato si muovono là in alto. sopra di lei, lontano.

… I screamed aloud

the stars, the moon

they have all been blown out

(you left me in the dark)…


Foto di Erol Ahmed da Unsplash

Non abbastanza

Due figure piccole e lontane, lui davanti e lei dietro che lo segue.

Sono sul ponte di legno, il camminamento sopra l’Arda, circondati da alberi e vegetazione. Da qui si vedono solo i loro busti in movimento, due sagome a metà come nei vecchi Luna Park, ti viene voglia di provare a lanciare una palla e farli cadere. Ma arrivano fino alla fine del ponte, attraversano, sempre uno dietro l’altro, e man mano che si avvicinano, si sente una voce.

È lei che parla con lui, ma lui cammina, a volte aumenta il passo, forse vorrebbe correre. Ma lei, parla.

Arrivano frasi spezzate, interrogativi senza risposta, appesi nel vuoto, portati dal vento altrove, ma non a lui. Non stanno discutendo, non c’è tensione nel tono della voce, neanche nelle posture. C’è… scollamento.

Due vite probabilmente che condividono molto, ma non abbastanza.

Eppure ci sarà stato un momento di perfetta intesa, di magia. Osservo lei, impegnata nell’inseguimento, che lancia i suoi segnali, e lui, in fuga, che lancia i suoi.

Fermatevi.

Fermatevi, vi prego. Guardatevi negli occhi ancora una volta, anche senza dire niente. Cercatevi in un gesto, nelle mani che un tempo erano elettriche, un nodo inscindibile, un canale energetico carico di possibilità.

E si fermano, ma solo perché incontrano qualcuno.

Caffè? Cambia la scena, ora anche lui parla. Parlano, non comunicano. Lui parla all’altro lui, lei parla all’altra lei.

Non si guardano più, non si bastano più.

Non abbastanza.


Foto di Geoffroy Hauwen da Unsplash

Juno è NEL mondo

Tensione, mani sudate, bocca asciutta. Forse ci siamo. Anzi, no, è ancora presto.

Erano arrivati da qualche ora, ma prima di loro, erano arrivati i loro cuori, i battiti veloci, l’entusiasmo e il terrore.

Ora che sono nella sala parto, lei accarezza la pancia, lui accarezza lei, mentre la luce sembra diversa, morbida, i neon non disturbano più, l’aria è immobile, le ombre invece si muovono veloci. Gesti sapienti che guidano, posizionano, preparano attrezzi chirurgici.

Ma lei si sta staccando da tutti, è connessa con se stessa e con quella parte di lei che presto la cercherà, la riconoscerà senza vederla.

Ed è dolore, profondo e infinito, mai provato. É emozione, paura, voglia che finisca, mentre lui fa le foto, le tiene la mano, ma quando il dolore diventa atroce lei vorrebbe morderla quella mano. Cerca di non urlare ma non comanda più lei, ora è il suo corpo che detta legge, che impone i tempi. La natura ha il sopravvento, la violenza che strappa, che non si ferma.

Come un tubo dell’acqua che esplode, un’onda fragorosa, ecco ripetersi il miracolo. Juno è fuori, al mondo.

Lui taglia il cordone ombelicale e Juno avvisa tutti a squarciagola, fino a che, nelle braccia di lei, avverte di essere al sicuro.

Per le ombre intorno è routine, per loro è Juno. Benvenuta NEL mondo.


Foto di charles deluvio da Unsplash

alone and beyond

Un piccolo passo, poi un altro. Con la maglietta rossa e un bel cappello di paglia, appoggiato ad un girello, procedeva fragile, sul marciapiedi, fermandosi di tanto in tanto per riprendere un po’ di forza. Alzava lo sguardo dal grigio dell’asfalto, da quell’attrezzo, sua armatura e destriero, verso il cielo. Il tragitto da casa al bar era un percorso lungo e faticoso che faceva ogni mattina da solo, dopo essersi preparato con cura, pettinato e vestito come ogni giorno, guardandosi allo specchio, senza occhiali.

Aveva quasi 90 anni ma ancora ci vedeva bene, era il resto del corpo che non rispondeva più come un tempo. Ma quando si svegliava, dopo essersi fatto il caffè, mentre raggiungeva il bagno lentamente, gli capitava di avere dei flash, di ricordarsi com’era sentirsi agili e forti, di quanto era tutto più semplice. Si era invece scordato quando era cominciato il decadimento, forse perché non c’era stato un vero e proprio inizio, era accaduto e basta, come succede per lo scorrere delle stagioni.

Non amava rimuginare, non sarebbe servito niente e quindi, ogni giorno, se il tempo lo consentiva, prendeva le sue gambe di metallo e usciva, sempre in ordine, col suo cappello. Fino a poco tempo prima era riuscito anche a fare la spesa ma aveva dovuto rinunciare e accontentarsi di percorrere il lungo tragitto da casa sua al bar, dove lo aspettava il suo tavolino in un angolo comodo.

Qualche parola scambiata con le signore che passavano ogni giorno e che salutava come un cavaliere d’altri tempi, le solite risposte al cameriere gentile che gli portava il suo caffè macchiato caldo. Nei giorni dispari arrivavano alcune sue vecchie conoscenze e lo invitavano a giocare a carte, non oggi.

I ricordi riapparirono vedendo gonfiarsi il tendone del bar, come una vela spiegata e, chiudendo gli occhi, rivide le onde fragorose e minacciose che conosceva bene. Avrebbe voluto raccontare di quando aveva fatto il mozzo su una nave per sette anni, per poi rimanere fino a diventare Comandante. Avrebbe voluto raccontare dei posti che aveva visitato e delle persone che aveva conosciuto, del suo equipaggio, le lunghe ore passate a chiacchierare, andando poi a recuperare chi si era perso nei bar dell’Havana, troppo ubriaco per ritrovare la strada. Gli sarebbe piaciuto narrare la sua vita a chi passava, camminando veloce, sempre di fretta, e portarlo per un attimo con sé, nei suoi ricordi del profumo della pelle di amori travolgenti, di giuramenti mai rispettati o dei rimpianti che spaccavano il cuore davanti alle albe in pieno oceano. Quanto avrebbe voluto descrivere le fughe dai pirati che apparivano dal nulla, nei mari delle coste africane, i colori sgargianti delle stoffe barattate con il pesce, le nottate senza fine, di guardia, aspettando che il destino decidesse con quanta forza li avrebbe messi alla prova.

Gli anni erano volati, scanditi dalle stagioni e dalle rotte. Avrebbe potuto disegnare la sua vita su un mappamondo, con un pennarello che avrebbe alla fine ricoperto tutti gli oceani e toccato tutti i continenti.

Non c’era nessuno a cui raccontare tutto ciò, nessuno che fosse interessato ad ascoltare. Per il mondo era solo un vecchio che aveva lavorato su una nave.

Ma oggi, la nostalgia aveva lasciato il posto ad un sorriso, il vento era così forte da avergli strappato il cappello e scompigliato i capelli, sopra quello sguardo azzurro, profondo e lontano. Le nuvole correvano veloci e il sole appariva e spariva.

“Ecco, Comandante!”

Il giovane cameriere gli aveva riportato il cappello ma lui, al comando, le mani salde sul timone, a occhi chiusi sapeva bene cosa fare, vedeva la rotta, vedeva i gabbiani che seguivano la barca, e il mare.

Il Comandante, era salpato, e stava navigando.


foto di Daniil Silantev da unsplash

Dove la polvere profuma d’incenso (parte 1)

Il viaggio era stato lungo e ora le sembrava di essere arrivata da molto tempo.

Dopo anni aveva deciso di tornare nel Rajasthan e si era fermata a Jaipur. Faceva caldo, quel caldo umido misto allo smog di un traffico incessante e lento, intervallato dal suono continuo dei clacson. Stava ammirando il Palazzo dei Venti, un macramè rosa di finestre che avevano nei secoli protetto le donne anziane della corte, intente ad osservare dall’alto la vita al di fuori.

Decise di salire sulla cima  del Chandra Mahal in cerca di u po’ di aria e, perdendosi tra i tappeti e i tessuti preziosi, si affacciò per ammirare la città al di sotto, il brulicare di vita, l’osservatorio astronomico, il Jantar Mantar. Si ricordava che ne esistevano ben cinque in India, il cui scopo principale era quello di predire il futuro. Astronomia e Astrologia erano saldamente connesse. L’Astrologia era considerata al pari di una scienza e insegnata all’Università.

Scendere di nuovo tra la folla e perdersi nel Bazar le procurò una sorta di stordimento, dovuto al jet lag e, soprattutto, al suo bisogno di silenzio, ma non era certo il luogo adatto. Le sete, cercava le sete, camminando senza fretta tra banchi stipati e mani che la invitavano a vedere la mercanzia. Ala fine, rapita dai colori di due stole impalpabili, si fermò da una signora dolcissima e, senza perdere troppo tempo in contrattazioni, le acquistò. Le era piaciuta quella signora dalla lunga treccia nera e lucida, i modi delicati. Decise di chiederle dove poter avere un consulto astrologico. La richiesta le uscì di getto, come se fosse la cosa più normale del mondo, come se le avesse chiesto l’indirizzo di un ristorante vegetariano.

E la signora le rispose.

Ed eccola su un taxi, col finestrino quasi chiuso, assalita ad ogni stop da bambini che chiedevano soldi, caramelle, qualsiasi cosa, pur di avere qualcosa. Venti minuti per raggiungere Amber e il suo Palazzo Fortezza, che custodiva all’interno due piccoli templi dedicati a Kali e Sila Devi. In quest’ultimo, secondo le indicazioni della signora, avrebbe potuto trovare qualche monaco esperto in grado di soddisfare la sua curiosità.

…segue ( parte 2)


foto di Souvik Laha da unsplah

Sovrappopolamento e Universo 25

Siamo in tanti. Più di 8 miliardi di persone su questo pianeta, e ci stiamo già stretti. La rabbia, le rivolte, le tensioni incontrollate che stanno aumentando e di cui leggiamo o ascoltiamo, sono sicuramente scatenate da problemi irrisolti o troppo spesso ignorati ma, alla base di tutto questo, volendo analizzare il contesto, non credete che la sovrappopolazione umana sia spesso il detonatore di tanta violenza?

Nel 1968, lo scienziato John Calhoun, fece un esperimento, Universo 25, proprio per verificare, con i topi, come potesse incidere l’aumento della popolazione nell’evoluzione del comportamento.

Ebbene, lo scienziato aveva predisposto una situazione di benessere per non creare stress, in cui la comunità di topi viveva serenamente, in uno spazio adeguato, senza nessun predatore, con cibo in abbondanza e nessuna preoccupazione.

Nel giro di un anno e mezzo, lo spazio destinato era affollato al punto che gli atteggiamenti dei topi erano cambiati, esprimendo violenza, cannibalismo (anche se non mancava il cibo), pansessualismo. Non mancava il sostentamento, gli spazi erano ridotti ma, soprattutto, essendo in tanti, erano venuti a mancare i ruoli sociali per tutti. Solo chi si isolava non veniva coinvolto.

In pochi anni, oltre al crollo delle nascite, si assistette all’annientamento dell’intera colonia, fino all’ultimo topo.

John Calhoun era giunto alla conclusione che, non importa quanto l’uomo pensi di essere sofisticato, quando mancano i ruoli sociali da impiegare per tutti, il sistema collassa.

Le ultime proiezioni della Nazioni Unite prevedono il raggiungimento di un picco di circa 10,4 miliardi di persone intorno al 2080.

Fondamentalmente è la ricerca di lavoro che spinge a concentrarsi nei centri urbani, più o meno grandi, ed è già una lotta, in macchina, nelle metropolitane, autobus, treni, nei condomini. La mancanza di lavoro e quindi di un ruolo sociale, fa il resto.

Io, rimango positiva sulle capacità dell’essere umano di adattarsi ai nuovi scenari. Certo, i cambiamenti non si accettano mai volentieri, si è spaventati, ma l’evoluzione, l’utilizzo delle tecnologie digitali in questa nuova economia globale, devono puntare al miglioramento della qualità della vita.

Dipende da noi.

Dipende da noi essere parte attiva, avere il coraggio di spostarsi, di cambiare, di accettare il diverso e modificare, se necessario, il proprio stile di vita.

Lo spazio c’è, tolte l’Asia e l’Africa, che totalizzano più di 6 miliardi di abitanti, nel resto del pianeta c’è spazio, per tutti. Nessuno ha mai pensato di andare in Oceania o in Polinesia? Un proverbio polinesiano la dice lunga: “C’è un tempo per essere albero e un tempo per essere piroga”, entrambi dela stessa materia, ma uno sedentario, l’altro in movimento.

Io ho viaggiato e vissuto all’estero quasi due terzi della mia vita. Sono scelte, a volte è difficile lasciare il certo per l’incerto ma tutto sta nella motivazione e nell’essere pronti ad affrontare l’incognito. C’è spazio, per gli essere umani e, soprattutto, per allargare la mente, ascoltare e imparare.

“Rivolgi il tuo viso verso il sole, le ombre resteranno alle tue spalle”. (Insieme ai topi).


foto di goashape – unsplah

Sensorium Dei

Il tempo, è un’illusione? Come sabbia fine che scende in una clessidra, esiste come realtà in divenire strettamente connessa con lo spazio, flusso. Sarà questa giornata dal cielo coperto che minaccia temporali estivi, tuonando in lontananza, e che ha fatto riempire i caffè di persone uscite a rinfrescarsi un po’, sarà a causa di questa elettricità nell’aria che mi attraversa, ricordandomi che siamo qualcosa di più di semplici individui su una superstrada, a senso unico, impegnati a sorpassarci mentre ci dimentichiamo di fermarci di tanto in tanto, che si materializza nella mia mente la visione di una linea di mezzeria, continua, interrotta solo raramente, a ricordarci che ci possiamo fermare.

Possiamo fermarci e mangiare un panino, sul cofano della macchina, occhi negli occhi.

Passa un gruppo di ragazzi con degli strumenti musicali protetti dalle custodie. A quell’età il tempo ha un’altra unità di misura, è scandito da sogni, delusioni, tempeste ormonali, l’orologio non ha lancette.

Poi, di colpo, le lancette appaiono e, col tempo, ecco i minuti, le ore, i giorni, gli anni.

Quanto tempo sprecato?

L’unico spreco che vorrei recuperare, come il pane avanzato e buttato via, è legato alla leggerezza con cui ho vissuto la certezza che i cambiamenti dipendessero solo da me. Ma forse, forse, non c’era altro modo.

Errori, dolori, gioie, speranze, lasciano segni sui calendari appesi o nei diari, nelle foto, nella mente.

Attimi preziosi, cristallizzati nella nostalgia crudele o nel ricordo di risate di pancia, che pizzicano gli occhi ed esplodono nelle viscere dolenti.

I ragazzi si sono fermati sotto una pensilina, stanno aspettando l’autobus ed uno apre la custodia, prende un archetto. Dopo qualche prova di accordatura, inizia il suo concerto, giovane Konzertmeister. Arrivano le note di un Allegro di Bach, come se il vento le seguisse, trasportando le foglie nell’aria, scompigliando i capelli delle signore sedute, passando tra le sedie, sui tavolini, zampettando sulla schiuma dei cappuccini. I cuori, il mio cuore, segue i battiti dettati dalle note, ed è magia.

Fermati tempo, Fermati e ascolta.


foto di Adrien king da Unsplash

Vado a comprare il pane

Ci sono i saldi al SUPER. I famigerati prendi 3 paghi 2. In realtà io amo i negozietti, quelli dal sapore antico, spesso con carissimi prodotti di nicchia che però assicurano gratificanti risultati culinari.

Ma come resistere al richiamo dell’AFFARE?

Così anch’io mi ritrovo a passeggiare tra gli scaffali, si fa per dire. Provate a passeggiare, rallentando di tanto in tanto e qualcuno calpesterà senza pietà il vostro metatarso. Tentennate nella scelta delle olive e sentirete lo sguardo di rimprovero dell’inserviente intenta a sistemare tonnellate di pasta.
Effettivamente non capisce a cosa serva leggere i componenti della salsa, E’ IN OFFERTA!!!

Quindi, anche se la quantità di sodio ti causerà danni certi ai reni, non importa.

Guardo con circospezione la verdura, le ciliegie sono in offerta, arrivano dal Cile. Ecco spiegato il prezzo, hanno viaggiato in business.

Mi dirigo al reparto casa: carta igienica, carta cucina, carta forno. Tre per tre, nove confezioni, praticamente porto a casa un albero in nove  scatole. Poi gli spray pulenti, i detersivi, i disinfettanti… Ho tutto ciò che mi serve, posso anche andare in letargo.

Ma  il percorso non è finito, mi aspetta l’ultimo girone infernale, la cassa. Un numero spropositato di casse aperte e non so mai quale scegliere. Mi dirigo verso la numero sei, ma non mi piace il numero, allora vado verso la otto ma mi sembra che ci siano troppi carrelli in fila. Cedo all’idiozia e mi fermo alla sette.

La cassiera sta lanciando la merce sullo scivolo di metallo dove, alla fine, una ragazza bionda sta parando gli articoli con maestria, infilandoli al volo nelle buste. Sarò all’altezza? Esco da cotanta mattinata con contusioni multiple alle dita e un quantitativo di roba esagerato.

E, ovviamente, mi sono dimenticata il pane.


foto di Oleksii-S

Cos’hai? (interactive game)

  • Cos’hai?
  • – Non so, un po’ di malessere.
  • Ancora?
  • – Sai quei periodi che proprio non riesci ad affrontare.
  • Mmm
  • -Quando ti svegli e sei già depresso.
  • Mmm
  • – È uno schifo.
    • OK.
  • A chi non è successo di essere la stampella per l’altro? Uomini e donne affrontano in maniera diversa i momenti NO.
    • Siete propensi ad essere ANGELI o DEMONI?
      • Cliccate sulle immagini, have a look and… fatemi sapere.

#Agli uomini dagli occhi innamorati

Caro splendido uomo,

il tuo sorriso, le tue mani, quella camminata che riconoscerei anche nella maratona di New York, eccoti.

Eccoti arrivare, col passo veloce perché sei in ritardo, e ti ho visto ancora prima di averti vicino. Ti vedo mentre parli e poi ti scusi, ti vedo mentre mi prendi la mano e mi baci. Poi, mi baci ancora e mi guardi, con le pupille enormi, scure, quasi un’eclissi di sole che mi accarezza coi suoi lapilli.

Sono per me, lo so.

Ti vedo mentre mi chiedi com’è andata la giornata, poi ti fermi e mi dici: “Sei bellissima.”

Ed è solo amore.

Siamo in macchina, potremmo essere in una vallata del Tibet o in un gelido ruscello delle Dolomiti, nell’Oceano Indiano o su una spiaggia in Normandia. Siamo noi, qui e ovunque.

Vedi una signora un po’ corpulenta che aspetta alle strisce pedonali e ti fermi. Lei, con passo deciso, ti guarda con aria di sfida e attraversa.

“Prego signora, rotoli pure.”

E rido. Rido spesso con te, ridono i miei occhi.

Ma i tuoi occhi, i tuoi occhi che sono solo per me, hanno riempito l’abitacolo, la strada, il cielo. Sono nel mio cuore, tra un battito e l’altro.

Il tempo, non esiste. Il tempo, è per gli altri.

Il tubetto di dentifricio

E siamo qui. Ancora una volta. Io, te e il tappo del tubetto di dentifricio. Tutta questa punteggiatura serve come un mantra che mi aiuta a minimizzare quel piccolo moto di stizza che mi prende ogni volta che vedo la pasta biancastra del dentifricio formare arabeschi disegni sul lavabo. L’acqua scorre e anche oggi aspetto. Attendo paziente che tu termini, abbracciandoti alla vita da dietro. Poi tu mi sorridi, mi dai un bacio dolce sulla fronte e te ne vai. E io rimango a  guardarmi allo specchio, prima di spostare il mio sguardo verso il basso, là dove già so che, con insolenza, troverò a fissarmi IL Tappo. Proprio lui, con quella coroncina da sovrano, altezzoso e fermo sull’orlo, ben distante dal SUO tubetto di dentifricio.

Il Tappo è consapevole del suo potere racchiuso in pochi centimetri di plastica, sembra sfidarmi, e io, cavaliere senza corazza  in questa lotta impari, ignorandolo ancora una volta, con fare deciso lo prendo e lo avvito al suo destino. Quante coppie sono state travolte dalla sua infida presenza? Quanti hanno perfino litigato, per colpa sua?

Lo specchio mi rimanda la mia immagine sorridente, con lo spazzolino in mano. Il tubetto di dentifricio ora è al suo posto, innocuo e un po’ emaciato si mostra per quello che è. Buona giornata.

Guanti di velluto

E’ domenica. Una domenica piovosa di maggio, i colori degli alberi, delle case sembrano sfuocati e mi sono vestita come a novembre. Caldo a parte, sono felice di essere seduta in un caffè semi-deserto, con una mia amica, di quelle con la A maiuscola. Momenti preziosi e felici come una cucchiaiata di cioccolata calda con panna.

 

La mia amica è una donna-alfa, suo malgrado. La donna-alfa, come l’uomo-alfa,  possiede un carisma naturale, ma in più è dotata di svariate attitudini. Mi riferisco a capacità artistiche, manualità sorprendente, sensibilità a doppio senso, indole da leader con guanto di velluto, anzi guanti, due (lo stile innanzitutto.)

Niente a che vedere col “talento naturale allo stiro e alle faccende domestiche”, riconosciuto a tutte. Come un master.

Che altro? Se tralasciamo l’invidia verde acido che ogni donna-alfa suscita indistintamente in uomini e donne standard, direi che rimane l’aura brillante che la avvolge.

Ecco, la guardo e sorrido. Chi ha carattere fa rumore. Anche in silenzio.

Occhio, il mondo pullula di fake. 

Avere naso (anche se chiuso)

Cos’è che ci avvisa dell’arrivo della primavera? Lo starnuto. Una fisiologica e naturale conseguenza respiratoria che fa da colonna sonora al vento tiepido di questa meravigliosa stagione. Raffreddori tardivi a parte, le riniti causate dai pollini sono una vera tragedia per chi ne soffre e una tortura per chi frequenta questi ultimi, io nella fattispecie.

Non si può nemmeno pensare di godersi una passeggiata in un ombroso boschetto, non è concesso spalancare le finestre, frequentare parchi, uscire in caso di forte vento e mi sto trasformando in Barbie-contadina a forza di tagliare l’erba, raccogliere foglie, eliminare erbacce.

PARE che, in questo periodo dell’anno, si debba evitare anche di asciugare i panni all’esterno. Un’ode all’asciugatrice.

Lamenti a parte, solo chi convive con tali problemi sa che ha da passà questo periodo e non si scandalizza di fronte a nasi rosso porpora, gocciolanti e perennemente tappati. A questo proposito, dedicherei un particolare encomio agli inventori dei fazzoletti di carta, specie se riciclata, sinonimo di progresso evolutivo. I meravigliosi fazzoletti in stoffa, i mouchoirs adorabili, morbidi e profumati, non reggerebbero questi attacchi.

Volendo (anche no) affrontare il penoso argomento dell’educazione dei soffiatori compulsivi nei luoghi pubblici, la mia lunga esperienza in materia potrebbe tradursi in un utile pamphlet da autodifesa:

  1. non avere paura, sei solo nel posto sbagliato al momento sbagliato
  2. il soffiatore non lo fa apposta
  3. cerca un giapponese raffreddato e fatti prestare una mascherina (lui non capirà ma non importa)
  4.  prima che starnutisca, a scelta, puoi effettuare una torsione del busto di 90 gradi o frapporre il vicino tra te e il soffiatore

Insomma, sopravvivere al periodo delle Gimnosperme e Angiosperme, cioè al trasferimento di polline dalle antere di un fiore allo stigma dello stesso fiore o di un altro fiore (cit.Treccani)… SI PUO’ FARE!

Quante volte figliolo?

Vai a prostitute? Mi sono imbattuta in un sito che cercava risposte alla  domanda “PERCHE’ gli uomini vanno a prostitute?”

In questa inchiesta ho letto molte motivazioni che portano a scegliere il sesso a pagamento, tutte derivate da esperienze diverse e con un comune denominatore: un uomo ha il sesso in testa tutto il giorno, tutti i giorni, le donne no. (!?!)

Sembra infatti che in Internet si facciano più ricerche sulle Escort  che sui film in programma al cinema tant’è vero che l’autore del blog afferma che  “le Prostitute sono così tante e così popolari da rendere impossibile qualsiasi tentativo di ignorarne la funzione o rifiutarne l’esistenza. Il mestiere più antico del mondo è qui per restare e penso che sia legittimo e doveroso accettarlo come parte integrante della nostra comunità.

La prostituzione come Risposta sociale a tutte le pulsioni che non trovano spazio altrove.

Detto ciò, evviva la libertà, ma, proprio per questo, mi ha addolorato leggere solo UNA risposta che, pur cercando scuse nell’esporre le motivazioni personali, ha  lambito il terribile tema delle schiave del sesso.

Da quello che ho letto nel blog, tutti, ma proprio tutti quei frequentatori di sesso a pagamento erano certi di andare con donne consenzienti.

D’accordo, ma le SCHIAVE? Vogliamo parlare di quel tedioso problema che sfiora le nostre coscienze intente a guidare verso casa, la sera, sfrecciando di fianco a signorine barcollanti su tacchi improbabili con le chiappe al vento? O peggio ancora di tutte quelle che non vedremo mai, le cui storie riempiono una serata in televisione, argomento scomodo e crudele, con testimonianze vere, storie di attuali sadismi  e atrocità?

Coloro che vanno a prostitute diranno che non è affar loro, perché   loro rispettano le donne (mogli e fidanzate a parte), non le picchiano e non le costringono. E aggiungeranno che le signorine in questione lo fanno volontariamente e guadagnano anche molto bene.

Per poi ripiombare nel dualismo mantenuta/prostituta, ed appioppare la Colpa alla donna, che non capisce, che non vuole, che pretende, che castra, perché la prostituzione è inversamente proporzionale all’amore.

Ho viaggiato e vissuto molto all’estero, direi tutta la vita, e non sono una bacchettona borghese, forse borghese, ma bacchettona no. Detesto solo chi nasconde le proprie debolezze, insicurezze e fallimenti, nel “cicchetto fatto di nascosto”, quasi l’andare in cerca di sesso a pagamento fosse una marachella segreta tra te e me, eterni bambini che non fronteggiano l’adulto che sono diventati nel frattempo, perché tutti si cresce ma alcuni invecchiano solamente.

Horror vacui.

Il giorno più bello

E’ un bellissimo matrimonio. Io Amo i matrimoni, li adoro. Quasi tutti. Mi piacciono l’atmosfera, i confetti, i fotografi sempre tra i piedi e gli invitati.

Potrei stare ore (e in effetti è quello che succede) a guardare il look degli invitati. Non mancano mai almeno due signore/ine in lungo anche se si celebra a mezzogiorno, a volte appaiono cappellini da Reali d’Inghilterra anche per le nozze “de Gasperino er carbonaro”, e tutti, ma proprio tutti, siamo in lizza per i posti a sedere in romantiche minuscole chiesette che neanche a Lilliput.

Purtroppo, quasi sempre, al termine della Cerimonia, il riso non si può più lanciare. Sembra che finisca per sempre sul selciato, creando coltivazioni selvagge difficili da debellare. Ci aspetta quindi un tripudio di petali, piume, maxi coriandoli e farfalle, un Circo Togni mai visto.

Poi arriva il momento del tragitto fino al luogo prescelto per il Ricevimento.

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Tempo stimato, solo un’ora e trenta, un’ora e quaranta al massimo.

Ma ne vale la pena. Quando arrivi, ti accolgono subito con un calice di Champagne, quasi avessi vinto il Giro d’Italia, ben consapevoli della difficoltà che hai avuto nel decifrare quella maledetta micro-cartina-mappa annessa all’invito.

E’ magico. Tutto un tulle, candele e baci. Purtroppo a volte mancano solo gli Sposi, stanno facendo le foto romantiche su tutti, ma proprio tutti, i monumenti, ponti, fontane della città. Arriveranno un attimo prima che gli invitati, ormai ebbri di aperitivi e vino, comincino ad intonare cori alpini.

L’amore, come la pazienza, vince su tutto.

Il Pargolo

Sono al ristorante, si festeggia un pre-compleanno. Non chiedetemi cos’è, sta di fatto che mi è toccato comprare un regalo due settimane prima della festa in questione.

Appena entrata, è bastata una rapida occhiata al parterre per realizzare che sarebbe stata una di quelle giornate infinite. Le coppie invitate dalla festeggiata, con pargoli annessi, stavano già monopolizzando lo spazio con passeggini, cappottini, giochini.

Ora, non ho esperienza in merito da condividere perché PURTROPPO nella mia vita evidentemente i bimbi non erano previsti, ma meno male che non ho avuto nessun serial-killer, agito-passivo, autolesionista, in sorte.

A difesa di tutti quei genitori che combattono tra lavoro, casa, scuola, emergenze varie, mi pare di capire che non esiste una equazione esatta tra  educazione in famiglia e educazione civica. E i bambini sono bambini.

Ma oggi vorrei analizzare il maledetto Pargolo. Pargolo nell’accezione di infante, imperfetto, immaturo.

Quand’è successo che abbiamo perso il controllo sui Pargoli?

Mentre sto seduta in un angolo, valutando strategicamente come meglio difendermi dal lancio di panini dei Pargoli, incrocio lo sguardo di tre mamme, due neo papà e il gestore del Ristorante. Nell’ordine:

  1. le mamme in trance a fissare estasiate i piccoli mostri
  2. i neo papà, probabilmemte sedati, che imbracciano biberon, merendine e videogiochi
  3. il gestore che è in balia degli eventi e pensa a quanto è difficile guadagnarsi da vivere

Quest’ultimo è infatti consapevole che il suo ristorante, perderà in brevissimo tempo la sua connotazione  per trasformarsi nel palcoscenico dei fanciulli. A niente varranno le occhiate imploranti fatte alle madri in trance, perché i Pargoli sono i veri protagonisti.

Mio malgrado quindi, mi preparo ad ascoltare pietose canzoncine, intervallate dalla lettura del temino in classe e da passi di danza. Se tutto ciò durasse pochi minuti, se il tempo dedicato all’ego smisurato dei Pargoli fosse limitato a sollazzare la vanità dei genitori, saremmo anche divertiti dalle loro gesta, a volte davvero sorprendenti.

Il problema è capire quando abbiamo scambiato le manifestazioni del Pargolo, come lo schiaffo all’adulto, in una affermazione di autonomia, le urla disperate a terra da sindrome di Ganser, in delicatissimi momenti di asserzione  della personalità.  E se tu (non madre ovviamente) sollevi il sopracciglio in un moto di impazienza, preparati a scontrarti col disprezzo e la commiserazione delle madri in trance.

Poi penso ai miei nipoti, che sorprendentemente hanno una testa, due braccia e due gambe, come la maggior parte, e che invece ancora chiedono se possono…

Ma loro sono bambini.

Calore umano

Mattinata in Posta.

“E’ in fila?” Mi chiede la signora bionda.

“Sì “.  E’ la mia risposta.

” No, mi piace l’odore di chiuso e ascelle”.  E’ la risposta muta del mio ego sarcastico che scalpita guardando le 15 persone prima di me.

angel-vectorizedSono arrivata da pochi minuti ma per qualche inesplicabile motivo, durante le attese, il tempo si dilata. Come se passassimo in un’altra dimensione: 5 minuti in fila alla Posta = 20 minuti di vita sulla Terra.

Per questo, prima si consiglia di:

  1. fare colazione
  2. andare in bagno
  3. assicurarsi che il cellulare sia carico

La signora anziana davanti a me comincia ad accusare una certa stanchezza. Scatta il lamento che, come l’ebola, si propaga e contagia la fila di fianco. Nonostante le cuffiette mi isolino, posso leggere inequivocabili piagnucolii dalle labbra dei vicini. La signora che non trova in me terreno fertile alla polemica mi ignora sventolando un bollettino spazientita.

Ma è il suo turno.

L’addetta allo sportello impassibile effettua l’operazione e passa oltre. Una freddezza da spia sotto copertura, una tecnica di sopravvivenza probabilmente perfezionata con l’esperienza.

Tocca a me. Fatto.

Efficace ma un tantino asettica. Eppure il calore umano si può trasmettere anche solo con una parola.

<Prossimooo!>