Errori

Li definiva così: errori. Non rimorsi o rimpianti. Alla sua età, poteva permettersi questo e altro, ne era assolutamente convinta.

Quando stai fissando fuori dalla finestra e la mente viene richiamata da un ricordo (e ne ho davvero tanti, quanti ne ho), è impossibile fare marcia indietro, inutile cercare di non pensare. In fondo mi è rimasto questo, pensare. E si pensa agli errori fatti, anche se non serve a niente.

Gli alberi stavano perdendo le foglie lasciando rami rinsecchiti, come sottili ossa, fragili. Eppure, sarebbero rifioriti in primavera, loro sì. Non tutte le foglie cadevano contemporaneamente: alcune ai primi sbalzi di temperatura, altre non riuscivano a staccarsi subito, rimanendo attaccate un po’ più a lungo, invecchiando.

Chissà se anche gli alberi hanno memoria? Sicuramente tribolano, ma non fanno errori. Questo continuo passare da una stagione all’altra deve essere faticoso. Tutti che corrono a raccogliere le foglie cadute, qualcuno li maledice, si sentono i lamenti mentre trascinano il rastrello carico, mentre gli stivali si stanno riempiendo di fango.

Due signori, proprio sotto alla sua finestra, nel giardinetto al di là della strada, stavano fermi, i piedi dentro un ammasso di foglie marcescenti. Erano anziani ma non vecchi. C’è una grande, enorme differenza. Lei, era vecchia.

C’è uno scarto minimo, quasi non te ne accorgi, ma arriva un giorno in cui, invece, scivoli nel buco della vecchiaia. Ed è proprio un buco, ti ritrovi solo, e tutti (quasi tutti) vorrebbero coprirlo, per non pensarci più. Un pò come sotterrare un problema. Diventi ingombrante, allunghi la lista di fastidi, rinunce, sacrifici.

Si era alzato un po’ di vento e il cielo, là in fondo, avanzava scuro e carico di pioggia. I due anziani ripresero velocemente a spostare i mucchi di foglie. Anche la natura ha i suoi tempi.

Invecchiando si diventa egoisti, possiamo essere pedanti, a volte fastidiosi, onnipresenti. Ci si aspetta tutto e subito. In fondo, è solo che temiamo di non avere abbastanza tempo. Il tempo diventa prezioso. Lasciateci attardare, sbagliare pillola, versare lo zucchero, sbriciolare a più non posso… non lo faremo per molto.

Gocce pesanti cominciarono a cadere, scivolando sui vetri.

Ai miei amati genitori.

Voglia di vedersi

Il vecchio orologio a pendolo stava battendo gli ultimi rintocchi. Era nell’angolo a sinistra dell’entrata di casa, da sempre, e da sempre, aveva dato il ritmo alle sue giornate. Era appena rientrata dalla passeggiata come ogni giorno, si era tolta la giacca e l’aveva sistemata sull’appendiabiti in legno, ormai vecchiotto, ma che un tempo era stato sempre carico di cappotti, giacconi, borse. Le giornate passavano e il tempo era sempre troppo.

Per lei era troppo, così andava a dormire presto per poi alzarsi tardi, al mattino. Aveva trovato questa scappatoia, in questo modo le ore di vita, di presenza nel mondo, erano diventate accettabili.

Fuori era esplosa la primavera, solo fuori, dentro di lei invece, permaneva una sorta di cupo autunno immobile. I gesti, sempre gli stessi, erano al contempo rassicuranti e terribilmente noiosi, un ripetersi di movimenti, dallo spegnere la sveglia al mattino, all’allungare le gambe sulla sedia alla sera. In mezzo, c’erano solo ore da far passare.

Quando usciva, ogni tanto incontrava qualcuno, qualche amica, anziana anche lei, ma non vecchia, e le pareva che, al confronto, la sua vita fosse come un ortaggio dimenticato nel frigorifero, un pomodoro senza sapore, un cespo di lattuga da buttare. La vita ha bisogno di bellezza, anche nel dolore.

Eppure, anche le altre storie di vita avevano attraversato avversità, lutti, delusioni. Tutte, parlavano di figli e nipoti.

Proverò a chiamarlo ancora mio figlio, lo inviterò ancora e forse troverà il tempo di venire un attimo, con la famiglia.

Quel giorno che, alla finestra, li aveva visti camminare verso la gelateria, aveva sperato che poi passassero da lei, per farle una sorpresa, una visita non programmata, fatta solo di voglia di vedersi.

Il vecchio orologio suonò l’ora. Ora di andare a dormire.


Foto unsplah