Lo spazio giusto

Il pomeriggio era sospeso, come se il sole esitasse a tramontare. L’aria sapeva di erba bagnata e pallone consumato.
A bordo campo, su una panchina scrostata, c’era lui. Le gambe penzoloni, le calze un po’ troppo larghe, i piedi dentro scarpe leggere, senza tacchetti, inadatte. Lo sapeva. Ogni corsa degli altri glielo ricordava. Non gliele avevano comprate. Non ancora. Forse mai.

Seduto, con le ginocchia graffiate e le scarpe sbagliate. Non serviva che qualcuno glielo ricordasse: non erano scarpe da pallone. Non erano quelle. Ogni volta che guardava quelle degli altri, nere o colorate, robuste come armature, provava un disagio inspiegabile. Nella sua classe c’erano tre bulli che lo mettevano sempre in difficoltà. Una volta era lo zainetto troppo vecchio, una volta i capelli che non andavano bene. Oggi, lo avevano escluso dal gioco per le scarpe. Guardava gli altri correre come se la partita fosse stata un fiume e loro ci nuotassero dentro. Lui era fermo, sulla riva.

Una bambina, una di quelle che sperava non si avvicinassero mai, comparve sbucando alle sue spalle. Aveva i capelli raccolti in due trecce lucide e uno sguardo appuntito.

Perché non giochi?

Abbassò lo sguardo sulle sue scarpe come se la risposta fosse scritta sull’asfalto.

Ah. Capito.

Disse solo quello e tornò verso la rete del campo, con un saltello leggero.

Lui abbassò di nuovo lo sguardo. Le sue scarpe sembravano ancora più brutte. Gli occhi ripresero a seguire la palla, ma non la vedevano davvero.

Poi, arrivò un altro bambino, più grande. Senza dire nulla si sedette accanto a lui, lasciando uno spazio giusto: né troppo vicino, né troppo lontano. Non lo conosceva.

Silenzio. Solo la partita davanti a loro.

Chissà se le scarpe fanno davvero la differenza. Chissà se mi basterebbe metterle per entrare o se servirebbe qualcos’altro. Comunque fa più male guardare che essere guardato. Le scarpe giuste avrebbero fatto la differenza. Forse. Forse non mi avrebbero fatto giocare lo stesso, ma almeno avrei avuto le scarpe giuste.

Si girò verso l’altro bambino e gli guardò i piedi. Lui aveva le scarpe giuste. Perché non giocava?

Restava lì, in silenzio. Una presenza che non era conforto né amicizia ma che aveva incrinato il confine che lo separava dagli altri. L’essere invisibile.
Sul campo la partita continuava, il campo da calcetto brillava sotto la luce stanca del pomeriggio.

19 pensieri su “Lo spazio giusto

  1. Il ragazzo con le scarpe sbagliate è emarginato perché non può permettersi lo zaino griffato e gli scarpini da calcio ma secondo me lo sarebbe comunque per quegli imperscrutabili rapporti tra i ragazzi che seguono onde misteriose.

    Complimenti Marcella per questo pezzo di ordinaria solitudine che hai descritto con molta maestria.

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  2. Con grande delicatezza, riesci a raccontare il senso di esclusione e di invisibilità che spesso accompagna l’infanzia, causata da un paio di scarpe, o un abito oppure anche un taglio di capelli. Mi ha colpita Il gesto silenzioso del bambino che si siede accanto, lasciando “uno spazio giusto”, è potente nella sua semplicità: non risolve, ma accoglie. È un racconto che parla di solitudine, ma anche di piccoli gesti che possono fare la differenza. Complimenti Marcella sei sempre bravissima 🥀🥀🥀

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  3. C’è come sempre tanta solitudine alimentata dalla presenza degli altri, cara Marcella🌹 . Ma non sempre ” fa più male guardare che essere guardato.”. Ml sembra che quel ragazzino escluso sia stato guardato abbastanza e da questi sguardi abbastanza umiliato. Spesso è  meglio “essere invisibile”, che non è il confine che separa l’Io dagli altri ma il solo mezzo per custodire la propria identità, senza esserne altrimenti costretto a svenderla.
    Forse perché non ho mai giocato al calcio, né mai ho avuto compagni, ma soltanto pochi amici.? Sarà per questo che non ho ricordi ma solo riflessioni che i tuoi racconti, questo incluso, suscitano in me? E allora grazie per quel che scrivi 🙏🌹🤗

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    • Da poeta, scandagli le sensazioni e le reazioni, come se fosse un quadro che cambia a seconda di chi lo guarda. E forse è così. Essere vittima di bullismo è anche altamente isolante, al punto da sparire o voler sparire. Non basta essere vestito come gli altri ma aiuta, limita gli attacchi di coloro che ti stanno ferendo ma che, inconsapevolmente, vorresti ti accettassero. Per questo, l’essere visto da qualcuno per quello che sei ti fa “riapparire”. Le tue riflessioni sono sempre interessanti caro Marcello e ti ringrazio.🤗🩵

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  4. In questo delicato racconto… riaffiorano insieme, sentimenti vissuti di ognuno di noi.
    Le scarpe, simbolo di benessere di un’intera generazione.
    Le prime, erano le scarpe che si guardavano quando si entrava in una casa.

    Avevo 18 anni quando mi comprai il mio bellissimo paio di scarpe color cioccolato con una fibbia d’orata, regalo fatto dei miei nonni alla mia nascita di un assegno circolare postale, non vedevo l’ora di arrivare ha 18 anni, diventare grande per essere padrona di quella piccola somma, quella giusta per un bellissimo paio di scarpe …che già da tempo avevo “adocchiato”.
    Un vero regalo che era difficile avere negli anni 60.

    Un racconto il tuo, come sempre descritto con molta delicatezza dei sentimenti per chi li vive, rispecchiandosi in altri…
    Grazie carissima Marcella per avermi riportato i miei meravigliosi 18 anni!! ❤️

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