Specchio, servo delle mie brame.

Fuori dalla finestra si intravedono le chiome degli alberi quasi spogli. Nella stanza del commissariato sono in tre. Hanno fermato solo loro tre.

La mattinata a scuola era terminata e aveva passato l’ultima noiosissima ora con la sensazione di essere seduta sulle braci. Il tatuaggio sul braccio si stava asciugando. Aveva rubato i soldi dal portafogli di sua madre che tanto se la sarebbe vista col nuovo compagno. Al suono della campanella era scattata come un’atleta pronta a correre i cento metri ma, nel corridoio, le era toccato fare la gimkana tra molli studenti che se la prendevano comoda, tanto avevano i genitori che passavano a prenderli o l’autobus che li aspettava. Ed era finalmente fuori da quel palazzo, si stava allontanando da quei ragazzini così diversi, così distanti da lei. Lei, si sentiva grande, lei era già grande. Ma non abbastanza.

Per riuscire a far parte del gruppo giusto, per essere accettata da chi contava davvero, non bastava essere grande, dovevi essere anche forte, molto forte. E lei sapeva di esserlo. Essere vittima non era mai stata un’opzione. Corre, corre per non arrivare in ritardo, mentre l’adrenalina sale. Oggi è un giorno importante, ce la deve fare.

Nel parco, isolate tra gli alberi, l’aspettano dieci ragazze, qualcuna si è seduta, altre stanno fumando. Percorre l’ultimo pezzo camminando veloce, guai a farsi vedere insicura. Lascia orme scivolose sulle foglie bagnate, mentre si avvicina e saluta. Solo gesti simbolici, emblematici, senza parlare.

Mette a terra lo zainetto e aspetta. Cominciano a spintonarla un po’, qualcuna le da un colpo sulla schiena, sulle gambe, poi, iniziano a dare botte, tante. Come se la stessero lapidando, arrivano legnate secche, calci che la fanno piegare. Si raggomitola e cerca di proteggere la testa. Sente che sta per crollare e si abbandona. E si fermano. Si sono fermate. Hanno smesso.

Ce l’ho fatta.

Ora, manca solo l’ultima prova. Non sarà difficile. Ora, è insieme alle altre, che stanno ridendo e l’aiutano ad alzarsi. Manca solo l’ultima prova. Sente dolore ovunque ma non importa.

Decido io.

E la vede passare. Una ragazza più o meno della loro età, non la conosce. L’addita, e il gruppo si scaglia contro quella preda, come una tempesta di sabbia la travolge e la soffoca colpendola senza freni. Anche lei. Anche lei sta sferrando calci a quel pupazzo ormai inanimato.

Ma qualcuno ha visto, qualcuno ha cominciato a gridare, c’è chi sta correndo verso di loro e il gruppo si sparpaglia come un branco di piccioni spaventati da un rumore.

Fuori dalla finestra si intravedono le chiome degli alberi quasi spogli. Nella stanza del commissariato sono in tre. Hanno fermato solo loro tre. Le fa male un ginocchio e chiede del ghiaccio, ma nessuno glielo porta.

10 pensieri su “Specchio, servo delle mie brame.

  1. Un racconto che colpisce per la sua crudezza e per la capacità di restituire la tensione interiore di chi cerca disperatamente appartenenza. La violenza non appare come scelta consapevole, ma come rito di iniziazione, come illusione di forza e di identità. Rimane l’amaro interrogativo: quanto dolore e quanta solitudine si nascondono dietro il bisogno di essere accettati? La tua scrittura riesce a trasformare un episodio inquietante in uno specchio che ci obbliga a guardare le fragilità dell’adolescenza e le responsabilità della società. Bravissima Marcella 🥀🥀🥀

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    • L’essere umano ha sempre confuso il significato del Potere. Siamo potenti, ognuno di noi, indipendentemente dai risultati che sembrano qualificare il nostro valore. A maggior ragione, quando si è giovani, ci si aggrappa a chi può dare questa illusione, come spesso capita oggi con i Social. Ti ringrazio, Giusy, del tuo profondo commento e per la tua profonda sensibilità. Ti auguro un sereno weekend.🪭❤️🤗

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  2. Ancora una volta hai descritto con immagini forti e bene delineate nei loro contorni, personaggi, azioni e ambienti con parole che fanno riflettere e inducono a ripensamenti su ciò che chiamiamo valori ( o disvalori).
    Non sempre chi commette il male ne è davvero l’autore. A volte lo è chi ha la responsabilità di guidare verso un comportamento sociale e umano chi si sente escluso dalla propria cerchia naturale. L’emarginazione familiare, la madre con un nuovo compagno, il tatuaggio ritenuto segno di comunanza e di appartenenza sono tutti simboli che giustificano la voglia della ragazza d’essere notata, d’essere apprezzata per poter sfuggire a quel senso di solitudine e di abbandono e di rivalsa su chi la ignora, su chi la ritiene un’ immatura.
    La strada scelta dalla ragazza per raggiungere il suo ideale non può che essere quella dell’aggregazione a un gruppo che l’accoglie per quello che essa sente di essere. Non c’è cattiveria nell’azione che compie contro la “preda” ma la necessità di obbedire per essere pienamente accettata.
    Uscirà dal commissariato più convinta che mai che la sola strada per raggiungere la stima del gruppo, anche di coloro che sono fuggiti dimostrando, a lei che ha mostrato la propria forza, di essere dei deboli, anzi di essere più determinata degli altri. E ciò la farà sentire dalla parte della ragione, d’aver imboccato la giusta via.

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    • Marcello!!!! Sei tornato e lo vedo… Hai vivisezionato il mio racconto con la sensibilità che ti è propria. Diamo tanto per scontato… diamo giudizi lapidari… ma siamo anche impreparati a colmare lacune così profonde in una realtà che sta cambiando forma velocemente. Ti ringrazio dal 🩵

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