Un pomeriggio buttato

Camminava verso la macchina, fumando come se stesse respirando a pieni polmoni, inalava e sbuffava fumo. Il rumore dei tacchi sul marciapiedi bagnato, ritmato, interrotto solo quando schivava le piccole pozzanghere che si erano formate dopo il temporale. Aveva smesso di piovere, l’aria non si era rinfrescata, dava più la sensazione di afa tropicale e i raggi di un sole stanco, bucavano le pesanti nuvole scure, minacciose.

La aspettava un traffico delirante, di mezzi impazziti, accalcati, nervosi come uno sciame di api minacciato da qualche pericolo. Rimase seduta in macchina per un po’, proprio non ce la faceva a partire subito. Era scarica, spossata.

Un pomeriggio buttato.

Le erano rimaste in testa le risate di Laura, quel suo continuo parlare, agitarsi, le attenzioni mielose da padrona di casa, tutte quelle effusioni a fior di pelle e gli sguardi. Più che altro gli sguardi. Ti rimanevano addosso come i filamenti di una gomma da masticare su cui ti eri seduta incautamente.

Un pomeriggio buttato.

Laura aveva davvero una bella casa, un marito perfetto e due figli perfetti. Conosceva solo di vista le altre invitate. Di cosa si era parlato? Mah. Doveva essere un aperitivo di compleanno, ma il buffet, il personale di servizio, le mises delle ospiti, l’avevano frastornata. Conosceva Laura, sapeva che amava esagerare, ma oggi, era stato davvero troppo. Troppo”Ciao tesoro!”, troppo”Sei un incanto!”, troppo “Che piacere rivederti!”.

Il suo mazzo di fiori, peonie, gerbere, lillà e bocche di leone, buttato su un tavolo insieme ai regali, che presto ne avevano martoriato i petali, tutte quelle persone che non stavano ferme un attimo, con un bicchiere in una mano e un piattino nell’altra. Solo lei, aveva preso un fiore di zucca con un tovagliolino e lo aveva mangiato. Si era sentita fuori posto. La barca di suo marito era troppo piccola, sua figlia non era abbastanza bionda, suo nipote ancora non parlava e lei, non poteva sfoggiare un, seppur piccolo, successo patinato.

Aveva sorriso e ascoltato, osservato e invidiato. La perfezione dell’arredo, l’equilibrio dei colori, le piante sulla terrazza, rigogliose e fiorite. Poi, il temporale. Tutte in casa! Le finestre accostate, i tuoni e la torta, portata su un carrello, dalla colf più triste del mondo, tra applausi e baci.

Un pomeriggio buttato.

Mise in moto la macchina, pensando alla torta che, in fondo, non era stata granché.


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Il Potere dello 0 (zero)

Lo Zero significa anche niente o nulla. Nei numeri arabi, il vuoto.

Poi, arriva quel giorno, il giorno del Compleanno. Il giorno che, nei tuoi ricordi di bambina aspettavi e che, per qualche sorta di magia, si tramutava in un desiderio, nell’attesa della festa, dei regali. Quelle candeline spente con più di un soffio.

Ora, anzi, da parecchio, le candeline vengono condensate in due candeloni, due petardi orrendi, svettanti sulla torta che vedi arrivare in lontananza, come una minaccia. E basta un soffio per spegnere quell’incendio. Basta solo un soffio per proiettarti nell’anno che è già cominciato.

E va tutto bene. Tutto bene fino a che realizzi che dopo il 9 c’é lo ZERO. E QUELLO ZERO NON È IL NULLA.

Quello zero parla di decadi passate, segna il confine. Dopo gli enta arrivano gli anta, passaggio che implicherebbe una sana analisi non tanto su quello che si è fatto, quanto su quello che si farà o meno.

Del tipo che, volente o nolente, ascoltando il tuo fisico, comincerai a cambiare l’alimentazione e, osservando il tuo fisico, riporrai nell’armadio minigonne, pantaloncini striminziti e top minuscoli. Non tutte, ovviamente. Diciamo che, essendo propensa al buon gusto, ho i miei limiti.

Quell’ovale dopo i numeri che ti hanno accompagnato per nove anni, cambia tutto. Il tuo genetliaco ti fa capire quanto sia rapido l’inevitabile avvicinarsi del geriatrico.

Ergo, soffia, soffia via quei simboli e ricordati che in informatica é lo Zero il punto d’inizio, non l’uno.

Riparti da ZERO, più le decadi di cui sopra.

Buon 4…- 5… – 6… – 7… – 8… (0) antesimo Compleanno!

Che sia lieve, come una piuma.

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