
“Alexa accendi il condizionatore. 22 gradi”
La padrona di casa sta segnando il territorio, scandendo ordini ai vari aggeggi telematici sparsi per casa. In un tripudio di tapparelle che si alzano, aria fresca che comincia ad arrivare da tutte le parti, luci che si accendono al suo passare, sono rimasta all’entrata osservando il tutto prendere vita.
“Chiudi la porta!”
Ed eccomi fuori. Non mi va di rimanere in attesa là dentro, preferisco stare all’esterno ad osservare il prato perfetto che sta restituendo il calore accumulato nella giornata, sembra in agonia mentre aspetta che gli irrigatori a tempo portino un po’ di sollievo. Il travertino intorno alla piscina emana uno strano profumo, è tiepido e inquieto. Lo specchio d’acqua invece invita a un tuffo o ad immergere almeno i piedi. Il frinire delle cicale si placa di tanto in tanto, solo per un attimo. Decido di accomodarmi su un divanetto sotto al patio e chiudo gli occhi. Ora metto i piedi in acqua.
Rumori. Rumori molesti di macchine che stanno arrivando, parcheggiano, gente che si sta salutando. E le cicale aumentano il loro canto. In lontananza scorgo i contorni delle figure che appaiono sfuocate nella calura, avanzano come sopravvissuti al deserto, lentamente, e insieme al vociare arrivano zaffate di profumo, qualcuno ha usato una crema al cocco. Hopper avrebbe dipinto quella piccola folla lasciando la vena di malinconia, quel sentimento di solitudine che permeava le sue opere anche se ritraeva più persone.
Eccola la padrona di casa, apparire fresca, come una visione. E il gruppo si fionda a salutare, cerca refrigerio all’interno. A parte qualcuno, sono tutti abbronzatissimi, la pelle delle signore rivela un reticolo di rughe sottili, urlando in silenzio tutta la sofferenza di ore passate a “grigliare” inerme.
Entro anch’io? No, aspetto. In fondo ero stata invitata all’improvviso, per ringraziarmi di averle tenuto il cane per 15 giorni. Non mi ero neanche cambiata, non mi aspettavo che la serata tra amici, fosse così poco “tra amici”. Mi stendo, stiro i muscoli.
Ora ci vorrebbe qualcosa da bere, di fresco.
Le ombre si stanno allungando, il prato è diviso in due: c’è la parte che respira, finalmente, e quella che ancora aspetta mesta e arsa.
“Eccoti!”
Sta arrivando Leo, il Labrador più dolce del mondo, correndo verso di me. Ma quanto sei bello? E sono salti di gioia e piroette, baci e coccole che mi trascinano sul prato. Non ce la faccio, mi devo sdraiare.
Un click. Sono partiti gli irrigatori. Tutti e all’unisono. E piove. Goccioline prima tiepide, poi, sempre più fresche. Leo salta, è felice, è a casa e ci sono anch’io. A lui piace quella doccetta improvvisa. Cosa vuoi farci? Piace anche a me.
Il tempo a volte scorre con un ritmo tutto suo, non ti calcola, o forse, sei tu che non calcoli. Stiamo giocando, sotto i getti dell’acqua, le luci della piscina si sono accese e le cicale hanno smesso di cantare. Mi sono tolta i sandali e sento l’erba morbida e umida, lancio la pallina a Leo e respiro guardando il cielo che si sta arrendendo.
” Ma sei proprio una matta! Ti stai bagnando tutta! Dai che ti porto un asciugamani così vieni a farti un aperitivo e ti presento un po’ di amici…”
Ma vieni qui tu. Venite qui tutti. É meraviglioso!
“Un attimo ancora! Ora, arrivo.” Ora, arrivo.








